Locate, 20 ottobre 2011 - Identificato grazie ai carabinieri del Ris di Parma l’uomo fatto a pezzi e trovato sulle rive del fiume Lambro, nel territorio di Orio Litta, in provincia di Lodi, il primo aprile scorso. La vittima è un ragazzo marocchino di appena 21 anni le cui generalità non si possono diffondere per non inquinare le indagini in corso da parte dei carabinieri, ma che è stato riconosciuto dai familiari arrivati in Italia, che stanno collaborando con gli investigatori. Identificato anche il «complice» della vittima, un coetaneo marocchino, che era con lui la sera dell’assassinio. Perché l’uomo poi fatto a pezzi è stato prima colpito con due fendenti mortali, questo è certo, anche se l’arma del delitto non è stata ancora trovata.

«Un coltello, o comunque un’arma da taglio molto appuntita», fanno sapere gli investigatori. Uno dei due colpi - entrambi inferti al torace, con una violenza inaudita - ha preso in pieno il polmone, non lasciando scampo al ragazzo. Poi il cadavere è stato smembrato usando attrezzi professionali da macellaio. Neppure questi ultimi sono stati ancora trovati dagli investigatori che però sono riusciti a risalire al luogo del delitto: sarebbero i campi a sud di Locate Triulzi, al confine con il territorio di Basiglio. La vittima, uno spacciatore pluripregiudicato senza fissa dimora, era solito muoversi fra sud Milano e Lodigiano. Sempre a caccia di clienti da rifornire di «roba». Ma quella sera del 31 marzo qualcosa è andato storto. O per una rapina finita male o per un regolamento di conti interno al mondo dello spaccio, il marocchino è stato ucciso. Poi, per sviare le attenzioni poco gradite delle forze dell’ordine da quella terra di nessuno compresa fra Locate Triulzi, Basiglio e Binasco, gli assassini hanno deciso di fare a pezzi il cadavere e scaraventarlo giù nel fossato a lato del Lambro, ma nel Lodigiano, dunque a oltre quaranta chilometri di distanza dal vero luogo del delitto. La testa del cadavere, che in un primo momento sembrava potesse essere stata trovata nel Pavese, non è in realtà mai stata recuperata e - con tutta probabilità - è stata gettata dai killer ancor più distante per rendere difficile l’identificazione della vittima.

Ma gli assassini hanno dimenticato un particolare poi rivelatosi importante: su uno dei brandelli della tuta trovata addosso alla vittima è stato trovato il marchio «Ifrane», nome di una nota località sciistica del Marocco, prodotto che si fa quasi solo in Nordafrica. Così è scaturita la prima pista buona. Poi, decisivi si sono rivelati i confronti e le analisi svolte dai Ris di Parma e dalla Scientifica, che hanno dato nome e cognome al giovane ammazzato. Il riconoscimento, fatto senza tentennamenti, dalla famiglia - rintracciata dagli investigatori lodigiani in Marocco - ha fatto il resto. Ora manca solo il nome degli assassini.