San Giuliano, delitto Verrascina: pene ridotte ai tre complici

Per i giudici l’omicidio non fu premeditato

Il movente del delitto fu la vendetta per lo sgarro subìto da un parente del clan Caiazzo

Il movente del delitto fu la vendetta per lo sgarro subìto da un parente del clan Caiazzo

San Giuliano (Milano), 30 giugno 2015 - Non ci fu premeditazione di gruppo. E quando fece fuoco, il killer Giuseppe Pellitteri era da solo. Così, cancellate due aggravanti, gli ergastoli ai complici diventano condanne a 26 anni di carcere. Pene ridotte in appello, per i tre uomini coinvolti nell’omicidio di Saverio Verrascina, il muratore 38enne freddato sotto casa a colpi di pistola per uno sgarro nel gennaio 2012 a San Giuliano Milanese. I giudici della prima Corte d’assise d’appello hanno confermato le condanne per concorso nell’omicidio a Carlo Caiazzo, Maurizio Lamanuzzi e Armando Esperto, escludendo però le aggravanti della premeditazione e dell’aver agito in gruppo. Pellitteri, 26 anni, l’assassino reo confesso e processato a suo tempo con rito abbreviato, sta scontando la pena definitiva a 15 anni di carcere. Condanna a 9 anni e 4 mesi confermata (con piccolo sconto di due mesi) anche per la madre di Caiazzo, Cristina Del Prete, 60 anni, accusata di concorso morale nell’omicidio di Verrascina poiché per l’accusa avrebbe più volte istigato il figlio a regolare i conti con la vittima anche se, per i giudici, la donna - da poco scarcerata e ora con il solo obbligo di firma - avrebbe sempre parlato di “punizione” e non di omicidio.

Movente del delitto, la vendetta per lo sgarro subìto da un parente del clan Caiazzo, lo stesso Pellitteri, picchiato da Verrascina a causa di un debito legato allo spaccio di droga. Ad accompagnare il killer sul luogo del delitto sarebbero stati dunque Caiazzo, Lamanuzzi ed Esperto, spingendolo poi a uccidere per vendetta a colpi di pistola. Pellitteri venne arrestato dai carabinieri pochi giorni dopo l’omicidio, mentre gli altri tre e la Del Prete, sospettati di legami con il clan camorrista dei Gionta, finirono in manette un paio di mesi dopo, nel marzo 2012.

Sullo sfondo, la voglia del clan di dare una lezione a tutto il paese. "Mo’ la gente pensa che può fare di più, tutta la combriccola, capisci? Che si può spendere la parola che, tanto, non facciamo niente. Invece hanno capito male. (...) La gente si deve tornare a cuccia", si dicevano due degli imputati intercettati al telefono. Verrascina, che due giorni prima aveva picchiato a sangue per un vecchio debito di 4mila euro Pellitteri, non poteva che finire a quel modo. Anche per i giudici d’appello fu tutto il clan familiare a mettersi in moto, come emergerebbe dalle telefonate. "Lamanuzzi e Caiazzo (due dei condannati, ndr.) sottolineano il fatto che occorre evitare che la gente di San Giuliano possa pensare che lascino correre su di una questione del genere", scrisse la Corte del primo giudizio. E la madre di Caiazzo (cognato di Pellitteri) era stata altrettanto chiara parlando col figlio: "Quello ti ha mancato di rispetto a te, perché si rispetta il cane per il padrone (...) Gli devi far saltare i denti dalla bocca... (...) devono andare pure loro all’ospedale".