Motta, uccise moglie e due figli: per il killer rito abbreviato e perizia psichiatrica

Via al processo a Carlo Lissi

Giuseppina Redaelli, madre di Cristina Omes, fuori dal tribunale

Giuseppina Redaelli, madre di Cristina Omes, fuori dal tribunale

Motta Visconti (Milano), 22 aprile 2015 - "Non lo perdonerò mai. Mai, mai. Deve rimanere in carcere, soffrire, come sta facendo soffrire noi. Come ha fatto soffrire loro". Un filo di voce esce dal corpo troppo esile di Giuseppina Redaelli, 78 anni, mamma di Cristina Omes e nonna di Giulia, 5 anni, e Gabriele di 20 mesi. Era presente martedì 21 aprile in tribunale a Pavia per la prima udienza del processo al genero Carlo Lissi, l’informatico di 32 anni che la sera del 14 giugno 2014 le ha portato via figlia e nipoti a coltellate. "Prima di morire voglio vederlo, voglio dirgli che è un assassino". Ieri, però, l’imputato non si è presentato: "L’udienza era tecnica – ha spiegato il suo avvocato Corrado Limentani –, ma quando ci sarà la discussione sarà presente, vuole parlare".

Per Lissi il gup Luisella Perulli ha disposto il rito abbreviato, con lo sconto di pena di un terzo in caso di condanna, come chiesto dalla difesa che così proverà a evitare l’ergastolo, e la perizia psichiatrica. L’incarico sarà assegnato il 14 maggio a Giacomo Mongodi. Non sarà la sola: mentre il legale che assiste la signora Redaelli, Domenico Musicco, ha annunciato che ne chiederà una di parte, affidandola molto probabilmente al dottor Claudio Mencacci, agli atti è stata acquisita la consulenza che l’avvocato Limentani ha fatto eseguire a Marco Gambarini.

Dopo gli incontri in carcere con due psicologi e uno psichiatra, è emerso un disturbo della personalità, un vizio parziale di mente che avrebbe condizionato i comportamenti di questo giovane padre apparentemente modello. Apparentemente, appunto.

"Non mi sono mai accorta di nulla, Cristina non mi ha mai detto nulla – ricorda Giuseppina –. Eppure non mi perdono per non essermi accorta, ero sempre a casa loro". La mamma di Cristina Omes ricorda il genero come "un ragazzo che parlava poco, è vero, ma era il suo carattere, ci rispettavamo. Lui cucinava, badava ai bambini perché era spesso lei a tornare tardi dal lavoro". Non uno screzio, insomma. E invece lui dentro si divorava. Era innamorato di una collega, si sentiva intrappolato in un matrimonio che ormai gli andava troppo stretto ma che non riusciva a chiudere. Lo ha raccontato ai magistrati anche a fine febbraio. Ma, sostiene la difesa, Lissi non avrebbe premeditato il triplice delitto (come invece sostiene il pm Giovanni Benelli), aggravato dalla parentela, dall’efferatezza e dalla minorata difesa. La sera del 14 giugno, dopo aver fatto l’amore con la moglie, il 32enne le ha detto di essersi innamorato di un’altra e di voler mettere fine al matrimonio. Ne è scoppiata una lite furibonda, lui ha preso il coltello e ha ucciso prima Cristina, poi nel sonno i figli. Poi era andato a vedere la Nazionale a casa di amici. "Nella sua mente era preoccupato che i suoi figli rimanessero senza genitori", spiega Limentani. A distanza di dieci mesi Carlo Lissi ha realizzato: "È distrutto, ha capito che ha perso tutto per mano sua".

(ha collaborato Nicoletta Pisanu)