Rozzano, il volontariato che abbatte le barriere

Incontro con Virginia Danese, mediatrice culturale e presidente del Coordinamento associazioni di volontariato

Virginia Danese

Virginia Danese

Rozzano (Milano), 22 ottobre 2016 -  Una paladina dell'impegno, che ha fatto del suo lavoro, anzi dei suoi lavori, una missione in cui la parola d’ordine è inclusione. Si chiama Virginia Danese, è di Rozzano, ha 34 anni, e da oltre dieci si occupa di mediazione culturale su Milano e hinterland; nel tempo libero, invece, spiega danzando ai bimbi che la diversità è un valore aggiunto.

Oggi è mediatrice culturale, presidente del CAV e fondatrice dell’associazione Resilia, qual è stato il suo percorso? "Tutto è iniziato dalla passione per la scrittura araba, che mi ha portata a frequentare il corso universitario di mediazione linguistica. Poi nel 2005 ho fatto un anno di servizio civile in Comune a Rozzano e da lì sono stata inserita nell'ufficio stranieri, dove mi sono anche occupata di coordinare la consulta multietnica. Da lì, ho sempre lavorato con migranti e rifugiati, prima a Rozzano e poi a Milano, nonché con comunità rom e sinti. Dall’aprile 2015, sono presidente del Cav - coordinamento associazioni di volontariato, con circa una trentina di associazioni su tutto il territorio, afferenti a diverse tipologie. Infine, qualche anno fa ho fondato a Rozzano l’associazione Resilia, che si occupa di tematiche interculturali".

 L’intercultura non era il suo scopo primario, quando ha iniziato, ma ora permea ogni aspetto della sua vita, anche nel tempo libero: com’è iniziato lo studio della danza del ventre? "Il 2005 è stato un anno di congiuntura astrale: di ritorno da un viaggio studio in Siria, mi sono appassionata alla danza del ventre; credevo fosse una fase momentanea e invece eccomi qui. Dopo anni di studi, ho conseguito il diploma di maestro di ballo e dal 2012 ho iniziato a insegnare, prima come volontaria al centro anziani di Rozzano e poi fissa in scuole dell'hinterland sud Milano. Dall'anno scorso insegno danza anche a bambini dai 3 ai 5 anni, dando vita alla 'danza di aladino', dove con il gioco, elementi di danza e lettura delle favole, inserisco elementi interculturali nelle lezioni. Il mio scopo è liberare quest’arte dagli stereotipi, attraverso lezioni più profonde, con importanti riferimenti culturali e non solo passi di danza".

Cosa consiglierebbe a un ragazzo che volesse intraprendere una carriera  nel sociale e nell’intercultura? "Sicuramente di avere tanta pazienza, ma soprattutto di farlo solo se davvero appassionato. Lavorare in questi ambiti significa tanta precarietà, incertezza, come spesso oggi nel mondo del lavoro, ma nel sociale questo è uno standard da sempre: inizi tramite volontariato, ti muovi su progetti; anche io che ora ho un finalmente un contratto a tempo indeterminato, non ho certezza della sede e del tipo di lavoro. I percorsi universitari non preparano a ciò che davvero ci si troverà a dover affrontare, e inoltre la figura del mediatore è ancora confusa con quella del traduttore, ma stessa lingua non significa stessa cultura".

Tra le altre cose, fa anche parte di un progetto che si chiama Belly Charity: di cosa si tratta? "Belly Charity è uno spettacolo di danze etniche, che ha preso vita 5 anni fa. La parte artistica è gestita dal gruppo professionale Tribal Troubles, di cui faccio parte. Si svolge annualmente in occasione di giornate celebrative, come la giornata mondiale del rifugiato, o la festa della donna, ed ogni volta scegliamo di devolvere il ricavato ad una onlus diversa di Rozzano, impegnata nelle tematiche oggetto della manifestazione. Noi come Resilia siamo un’associazione culturale, e in queste occasioni ci limitiamo ad utilizzare per noi solo i fondi necessari a coprire spese necessarie come la Siae".

In periferie come Rozzano cosa accade? "Rozzano è stata la piazza su cui ho fatto più esperienza come mediatrice, soprattutto con i profughi, e in cui tuttora vivo e lavoro con Resilia, il Cav e la danza. Posso dire che essendo un grande paese, ma ricco di aree cittadine con disagi sociali ed economici, la situazione è sempre stata difficile: il bisognoso arrivato da altrove è visto come un ostacolo per ottenere dagli enti assistenziali aiuto, diventa una guerra tra chi è più bisognoso. A livello generale, invece, in questo lavoro capisci che etnie, comunità, ambiti sociali che si voglia definire, la differenza la fa sempre il singolo individuo".

Nella professione di mediatrice culturale, sempre a contatto con diverse culture, a volte agli antipodi, cosa ha imparato? "In questo lavoro le lezioni più importanti le ho imparate sul campo. Io in questi anni ho dovuto e potuto mettere ripetutamente in discussione me stessa, mi sono dovuta ricredere, e ho visto venire a galla degli stereotipi, che erano parte degli schemi culturali in cui ero maturata, e tramite l’esperienza riuscire a smontarli".

Ci sono dei preconcetti su cui ha dovuto ricredersi? "Sicuramente la stigmatizzazione sociale che vivono le popolazioni Sinti e Rom, con cui ultimamente ho avuto modo di lavorare di più. Esistono tantissimi luoghi comuni su queste comunità, spesso legati purtroppo all’unione di due fattori: la mancanza di conoscenza della loro cultura ed i fatti di cronaca che spesso riguardano queste etnie. Come per tutti i popoli, la generalizzazione è superficiale".

C’è un episodio in particolare che l'ha colpita? "Ci sono tanti momenti belli e brutti che hanno segnato profondamente la mia crescita, ma scoprire l’enorme senso di solidarietà e generosità tra individui o gruppi in gravi difficoltà, mi ha colpito particolarmente. Quel desiderio di donare anche il poco o nulla che si ha, proprio perché si conosce la sofferenza, l’ho visto proprio tra famiglie Sinti e Rom, distanti tra loro culturalmente".

Il sociale richiede tanto impegno, vuole lanciare un appello? "Ho due lavori che sono in realtà due passioni e non abbandonerei mai, ma ho anche tantissimi progetti e desideri di miglioramento, ma per portarli avanti è necessario essere in molti. Vorrei che la cittadinanza, soprattutto i giovani, si avvicinasse di più al volontariato che ancora oggi è associato al puro assistenzialismo e tante onlus sono gestite in maniera tradizionale da vecchie leve".

Ha degli obiettivi particolari nell’immediato, in ambito lavorativo o personale? "Nel 2006 ho conseguito la laurea triennale, ma non sono riuscita ad andare oltre. L'anno scorso ho finalmente deciso, dopo 8 anni, di terminare anche i due anni di magistrale, perchè un titolo di 5 anni mi farebbe accedere a qualifiche superiori nel settore. Con questa idea che mi dava la spinta, a settembre ho terminato gli esami e ora sono in fase di scrittura di tesi per laurearmi a dicembre".