Quei fili neri ormai sottili

Il rischio è alto. È quello di accanirsi nella ricerca di indizi e fili neri sempre più labili e sottili

Milano, 23 luglio 2016 - Il rischio è alto. È quello di accanirsi nella ricerca di indizi e fili neri sempre più labili e sottili, di insistere nell’inseguimento di testimoni con memorie sempre più lontane e confuse, nella speranza di individuare responsabili ormai forse defunti, o comunque persone totalmente diverse da quello che erano trenta o quaranta anni fa. Succede così, per esempio, ai magistrati che ancora oggi cercano di capire cosa avvenne in piazza della Loggia a Brescia, a fine maggio1974 , otto morti e un centinaio di feriti durante una manifestazione dei sindacati per una bomba lasciata da qualcuno in un cestino dalla spazzatura.

Un anno fa, dopo che la Cassazione a sorpresa aveva riaperto la vicenda giudiziaria, arrivò la condanna all’ergastolo per il leader neonazista di Ordine nuovo dell’epoca, Carlo Maria Maggi, medico veneziano ormai ottantunenne e malato, sospetto mandante della strage. Ma anche per Maurizio Tramonte, all’epoca giovane camerata che partecipò alle fasi preparative dell’attentato anche come collaboratore dei servizi segreti, che però si sarebbe «dimenticato» di avvisare i suoi referenti circa i propositi del gruppo nero. A giorni si conosceranno le motivazioni delle clamorose condanne di un anno fa, giunte al termine del dodicesimo processo celebrato per la bomba di Brescia, 41 anni dopo i fatti. Ma i magistrati continuano a cercare. E così ora arriva la conferma (in termini di probabilità, non di certezza, dal confronto di due fotografie d’epoca eseguito dai periti) che quella mattina in piazza a Brescia c’era anche Marco Toffaloni, altro neofascista veneto, indicato da un camerata «pentito» come uno dei ragazzini esaltati che potrebbero aver messo materialmente nel cestino la gelignite preparata per l’occasione dall’esperto di esplosivi di Ordine nuovo Carlo Digilio, ormai defunto ma reo confesso. Toffaloni, non ancora 60enne e cittadino svizzero, finora non si è voluto far interrogare. E i magistrati continuano a cercare, anche dopo così tanto tempo. Il rischio è alto, ma l’alternativa è la rassegnazione. La presa d’atto di un’impossibilità come è avvenuto per gli esecutori materiali della strage di piazza Fontana, ancora ignoti. E non è un bell’esempio.