Venerdì 19 Aprile 2024

Omicidio di Garlasco, la difesa di Stasi: ha detto la verità sul corpo di Chiara

Per Alberto, unico indagato per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, è stata chiesta una condanna a 30 anni. Legali al contrattacco di Gabriele Moroni

Alberto Stasi

Alberto Stasi

Pavia, 26 novembre 2014 - La grande macchia di sangue. La porta a soffietto. La scala della cantina dove, nel primo pomeriggio del 14 agosto 2007, a Garlasco, Alberto Stasi trovò il corpo della fidanzata Chiara Poggi. Davanti ai giudici della prima Corte d’Assise d’appello di Milano, si giocherà attorno a quell’andito ristretto, illuminato da una lampadina, una parte importante del processo a Stasi, da sempre unico indagato per l’omicidio. Nella sua requisitoria conclusa con una richiesta di condanna a 30 anni, il sostituto procuratore generale Laura Barbaini ha attribuito molta importanza a quella scala.

Stasi, è l’assunto accusatorio, riferì particolari che soltanto l’assassino poteva conoscere, come quello del corpo, scorto all’altezza del settimo gradino quando questo, invece, fu rinvenuto all’altezza del nono. Secondo il pg, Stasi racconta dove effettivamente lasciò il corpo, non prevedendo che questo sarebbe disceso. Sul punto la difesa (il professor Angelo Giarda, l’avvocato Fabio Giarda, l’avvocato Giuseppe Colli) andrà all’attacco. Alberto disse la verità quando descrisse il corpo della fidanzata visto quasi in fondo alla scala, una parte del viso e della testa rivolta contro il muro. Chi uccise Chiara non scese le scale. Infatti nessun gradino porta impresse le impronte insanguinate di suole a pallini. Il cadavere impattò con la testa contro il quarto gradino. Iniziò a scendere verso il fondo. Una discesa lenta, molto lenta, durata ore. Certamente più lunga di quei 23 minuti che sarebbero il solo «buco» nell’alibi di Alberto Stasi per la mattina dell’omicidio. Chi scrive tutto sono gli esperti del Ris di Parma, nella relazione consegnata a suo tempo al pm di Vigevano, Rosa Muscio, la prima a sostenere l’accusa contro l’ex bocconiano.

Qui si incardina la tesi difensiva. È impensabile che Stasi, una volta compiuto il delitto, abbia atteso per ore mentre Chiara compiva la sua discesa giù per le scale. Una volta accompagnati i carabinieri alla casa della fidanzata, non vi è più entrato. Non ha quindi rivisto l’ambiente, la scala della cantina, Chiara morta. Quello riferito era il suo primo e unico ricordo. Un racconto veritiero.

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