Milan fra campo e società, ora il club aspetta segnali dal Congresso di Pechino

Lo “sblocco“ dei capitali permetterebbe a Yonghong di saldare il debito con Elliott

Xi Jinping numero uno del Governo e del Partito comunista cinese (Reuters)

Xi Jinping numero uno del Governo e del Partito comunista cinese (Reuters)

Milano, 20 ottobre 2017 - Prime riflessioni, da associare ovviamente al mondo del pallone, su quanto sta emergendo dal Congresso del Partito Cinese in materia di investimenti all’estero. A Pechino sono tutti d’accordo: i soldi cinesi, anche sul calcio europeo, servono non solo a fare business, ma soprattutto per trasmettere in Cina il grande entusiasmo per il calcio. Ecco perché il disegno di Xi Jinping, il numero uno del Governo e del Partito comunista cinese è quello di consentire ai club del Vecchio Continente con quote di maggioranza detenute da proprietà cinesi di poter continuare a beneficiare di investimenti importanti.

Il messaggio trasmesso in queste ore al mondo da Pechino è semplice ma anche incoraggiante: la Cina è entrata in una “nuova era” in cui dovrà diventare «un grande, moderno Paese socialista», ma per raggiungere questo obiettivo, il Governo dovrà andare incontro a “sfide impegnative”. «Non chiuderemo le porte al mondo - le parole di Xi - anzi, diventeremo sempre piu’ aperti». Poi la promessa di «allentare in maniera significativa l’accesso al mercato e proteggere i diritti e gli interessi legittimi degli uomini d’affari stranieri». Tutto ciò quasi a voler ribadire la bontà degli ingenti investimenti esteri cinesi nel dorato mondo del calcio europeo.

Come è noto, i campionati più importanti del Vecchio Continente ormai da anni sono feudi indiscusso di cordate o di grandi investitori asiatici, in particolar modo cinesi: Milan, Inter e Parma in Italia, West Bromwich Albion, Aston Villa, Wolverhampton, Reading, Southampton, Newcastle in Inghilterra. E poi Granada e Real Oviedo in Spagna, Nizza, Sochaux e Auxerre in Francia e Slavia Praga nella Repubblica Ceca. Perciò l’Inter e soprattutto il Milan vivono queste ore con un minimo di apprensione. Il club di via Rossi spera che i capitali di mister Yonghong Li siano “sbloccati“, anche per non complicare la pesante situazione debitoria esistende e permettendo così all’azionista di maggioranza dei rossoneri di restituire il prestito ad Elliott. Vero, il progetto di rilancio del club rossonero (dopo una campagna acquisti estiva da oltre 200 milioni) è strettamente legato ai risultati sportivi e c’è tutto lo spazio per recuperare il terreno perduto.

Ma la società deve giocare pure un paio di partite complicate sui mercati finanziari: se da un lato entro ottobre 2018 va saldato il debito da 303 milioni con il fondo americano Elliott (Fassone è alla ricerca di nuovi finanziatori che prestino soldi a un tasso di interesse inferiore a quelli di Elliott che arrivano fino all’11%, ma la situazione generale non aiuta perché tutto il Milan è già in pegno a Elliott) dall’altro c’è da risolvere la questione del Financial fair play . Nelle prossime settimane con la Uefa si dovrà ridiscutere della questione del “ Voluntary Agreement ” congelata lo scorso giugno . L’organo di controllo contabile europeo sta valutando i bilanci delle tre stagioni precedenti e quella in corso, durante le quali la società rossonera ha accumulato un rosso di 250 milioni. Tanta roba rispetto al limite di perdite fissato dalla Uefa a 30 milioni nel triennio. Senza il voluntary agreement, il Milan rischierebbe sanzioni. E la piattaforma Milan China è il grimaldello per aprire il mercato asiatico al brand rossonero.