Martedì 23 Aprile 2024

Duplice omicidio di Brusio, il legale del moldavo rilancia la pista bulgara

Sclavi: «Ferrari aveva un appuntamento». L'avvocato del moldavo accusato di essere l'esecutore materiale del delitto ha chiesto l'assoluzione per non aver commesso il fatto o per mancanza di prove di Eleonora Magro

Ezio Gatti e Ruslan Cojocaru

Ezio Gatti e Ruslan Cojocaru

Tirano, 28 novembre 2014 - Assoluzione per non aver commesso il fatto o per mancanza di prove. Questa la richiesta formulata dall’avvocato Rossella Sclavi, legale che difende Ruslan Cojocaru, imputato, insieme al sondriese Ezio Gatti, al processo per l’omicidio dei coniugi Giampiero Ferrari e Gabriella Plozza, uccisi il 21 novembre 2010 negli uffici della loro abitazione a Zalende, frazione di Brusio, in Svizzera. Nell’arringa finale, l’avvocato Sclavi ha cercato di smontare l’impianto accusatorio nei confronti del moldavo, accusato di essere l’esecutore dell’omicidio, partendo dalle tre prove contestate: il dna ritrovato sotto le unghie della vittima, la polvere da sparo trovata sul giubbotto di Cojocaru e i moduli per la vendita di automezzi trovati sopra il tavolo dell’ufficio dei Ferrari, la scena del crimine. «L’analisi del dna delle tracce biologiche sotto le unghie del Ferrari eseguita dal perito svizzero dà risultati non univoci, non compatibile unicamente con quello dell’imputato, che è cosa ben diversa che dire che è il suo – ha detto Sclavi -. E la presenza di tracce del dna di Cojocaru non è indice di colpevolezza. Può esserci stato un contatto casuale ante-mortem, noi sappiamo infatti che l’imputato è stato a casa dei Ferrari il giorno prima, così come appare dai tabulati telefonici e il dna può essere stato lasciato il giorno prima casualmente, con una stretta di mano. Sui graffi presenti sulla mano e sull’avambraccio della vittima (Giampiero Ferrari) non è presente il dna di Cojocaru».

In merito alle tracce di polvere da sparo trovate sul giubbotto del moldavo «non si può escludere che fosse una traccia di contaminazione delle forze dell’ordine entrate in casa per l’arresto – ha continuato il legale che difende Cojocaru -. Sul giubbotto invece non ci sono tracce biologiche, nessuna goccia di sangue e se quel giubbotto era sulla scena del crimine avrebbe dovuto averle, guardando appunto le immagini della scena del crimine». Torna in aula la pista bulgara. «Domenica mattina sappiamo che Ferrari ha ricevuto una telefonata dalla moglie, mentre era al bar di Zalende, e ha detto agli avventori presenti di dover andare perché erano arrivati i bulgari – ha detto il legale Sclavi -. Non è una visita a sorpresa ma preventivata, lascia intendere che aveva un appuntamento con persone note. Perché questa tesi, così come la vendita delle armi da parte dei Ferrari, perde mordente e non viene approfondita? Sappiamo che i Ferrari erano commercianti, vendevano un po’ di tutto, mezzi, anche armi. La moglie diceva di non amare le armi e di non volerne in ufficio, ma le aveva in casa è vicino al letto. Solo per la sua difesa personale Ferrari teneva una Beretta 9 per 19, un kalasnikov e una bomba a mano finta. Ma che motivo aveva per temere della propria vita e da chi si doveva difendere?».