Profughi in Valtellina, la ricetta di don Bormolini: ospitati in piccoli gruppi

"In effetti 35 euro sembrano tanti. Ad ogni profugo vanno due euro e mezzo al giorno che fanno 75 euro al mese. Il resto del denaro serve agli ospitanti"

La cena etnica a Bormio (Nat.P.)

La cena etnica a Bormio (Nat.P.)

Sondrio, 26 agosto 2016 - Sempre controverso il tema dell’accoglienza dei profughi nella nostra provincia che dal 2011 ha visto un migliaio di migranti giungere in Valle, di cui solo 630 hanno preferito rimanere, mentre la maggior parte ha trovato una nuova destinazione. Attenta analisi su questo fenomeno, quella di don Augusto Bormolini, responsabile provinciale della Caritas che ha messo in evidenza varie criticità, indicando anche possibili soluzioni. Don Augusto ha essenzialmente stigmatizzato una situazione in provincia di Sondrio in cui non si evidenzia un’equa distribuzione dei migranti, diventati per alcuni fonte di businnes, e che dovrebbero avvicinarsi maggiormente all’uso della lingua italiana e imparare un mestiere che potrebbe comunque tornare utile in qualsiasi momento.

«L’anomalia si riscontra con la forte concentrazione dei profughi in alcuni centri e che potrebbero creare qualche problema sul territorio. Come Caritas proporremmo un’equa distribuzione in piccoli gruppi, e rendere obbligatoria la frequenza di corsi di lingua italiana», ha spiegato il responsabile della Caritas provinciale che è entrato poi nel merito dei 35 euro al giorno per ogni profugo ospitato. Una cifra contestata da tanti che vedono in evidente affanno tante famiglie italiane e soprattutto chi sopravvive con la sua pensione minima.

«In effetti 35 euro sembrano tanti. Ad ogni profugo vanno due euro e mezzo al giorno che fanno 75 euro al mese. Il resto del denaro serve agli ospitanti e, se utilizzato bene, serve a contribuire alle spese di vestiario, cibo, affitto, riscaldamento, acqua e anche per pagare chi insegna la lingua italiana», ha aggiunto Bormolini che ha aperto l’altro contenzioso legato al mondo dell’accoglienza: quello del lavoro. «Una cooperativa può fare business in modo coscienzioso, assistendo questi giovani nel pieno delle loro forze, impiegandoli in lavori socialmente utili, in modo gratuito e volontario, anche per insegnare ai richiedenti asilo un mestiere che un domani potrebbe essere loro utile», ha concluso. Lingua e lavoro sembrano dunque le maggiori priorità, insieme all’equa distribuzione sul nostro territorio, per superare quelle difficoltà che impediscono la vera integrazione.