Simone Rossi: "Ero un amico, non il suo killer". Una perizia riapre il giallo della cava

Rossi è in carcere dal 2009 per la morte di Donald Sacchetto

Simone Rossi

Simone Rossi

Ardenno (Sondrio), 8 febbraio 2017 - Simone Rossi è vittima di un «clamoroso errore giudiziario: dal 2009 è in carcere da innocente. Donald Sacchetto si è ucciso, l’epilogo del giallo della Valtellina va riscritto». L’avvocato Marino Colosio ne è sicuro. Il caso della morte dell’operaio di 36 anni di Ardenno, paese di tremila anime tra i monti di Sondrio, a distanza di sette anni merita una rilettura. Il legale di Rossi, condannato a 30 anni per omicidio volontario, occultamento e soppressione di cadavere, porto abusivo di arma da fuoco e spaccio, è convinto di avere in mano le carte che sconfessano la ricostruzione investigativa di una vicenda in parte rimasta oscura.

Donald Sacchetto
Donald Sacchetto

Non fu un omicidio, sostiene Colosio in una corposa istanza di revisione depositata il 3 febbraio alla Corte d’appello di Brescia. Rossi ha ribadito la sua innocenza anche in una lettera di due pagine fitte inviata di recente dal carcere alla famiglia, che gli ha sempre creduto. «Abbiamo tre nuove perizie – spiega l’avvocato - quella balistica, fonometrica e medico legale. Il suicidio di Sacchetto è ipotesi non peregrina. Anche il fratello di Donald, peraltro, si è suicidato (in realtà è stato trovato privo di vita a 38 anni nel maggio 2016 in seguito a una misteriosa overdose, ndr)».

Un frammento della scatola cranica della vittima, il reperto numero 7, è l’elemento cruciale su cui punta la difesa. Ebbene, sul frammento osseo - sostiene la difesa - vi sarebbero residuati incompatibili con la scamiciatura del proiettile che si ritiene esploso da Rossi. «È stato celebrato un processo indiziario, senza movente, senza ritrovamento dell’arma, senza cadavere, senza contraddittorio sulle consulenze. Non sono stati individuati sul cranio i fori in entrata e uscita del colpo. La grandezza della lesione è compatibile con un’arma diversa dalla pistola, per esempio un sasso».

La cava dove furono trovati i resti di Donald Sacchetto
La cava dove furono trovati i resti di Donald Sacchetto

La notte del 17 maggio 2009 Sacchetto, operaio in Austria, sparì dopo aver festeggiato il compleanno con gli amici nei pub di Ardenno, tra alcol e coca. Fu visto andarsene con Simone sul suv Mercedes dell’amico e di lui non si seppe più nulla, finché due settimane dopo riemerse a pezzi dalla cava «Rossi graniti». Per la Procura a ucciderlo fu Simone, che aveva una pistola, sparava in aria per fare il bullo e fece fuoco contro il 36enne al termine di una serata di sballo, forse per gelosia o per debiti non saldati. Poi distrusse il corpo tentando di bruciarlo e buttandolo nel tritasassi della cava. «Donald si è sparato alla testa. Ha usato la mia pistola, così mi sono fatto prendere dal panico», si difese all’epoca l’unico sospettato, spiegando che l’amico era sconvolto per un divorzio. Anche oggi Rossi ripete il refrain dal carcere di Porto Azzurro: «È stato il gesto imprevedibile di un amico che ha distrutto due vite, la sua e la mia», ha scritto. «Decisi per il dibattimento perché volevo dimostrare la mia innocenza. Un ragazzo di 27 anni non rischia il carcere a vita se non è innocente».