Livigno, 21 settembre 2011 - «Sei una delle nuove?». Strette di mano. «Benvenuta». «Da dove vieni?». Le risposte mescolano dialetti: Modica, Viterbo, Acireale, Ragusa, Crotone. Le prof — qui la maggioranza è femmina — si studiano. Nella luce calda dell’androne di Plazal dali Sckòla torna in scena l’appello al contrario: «Chi manca ancora?», chiede quello di educazione fisica, unico maschio. «Matematica e lettere, mi pare. Ma da giovedì dovremmo esserci tutte», risponde la collega. Da giovedì si comincia: questa è la promessa, o almeno la speranza. «Dai che ormai ci siamo tutte». Si deve arrivare a 24 insegnanti, per il momento ce ne sono 20. L’emergenza vera sembra rientrata, dal suono della prima campanella il 12 settembre. Quando nell’androne si ritrovarono solo in quattro. A guardarsi negli occhi: «E ora che facciamo?».

 

Hanno fatto sì che alla scuola media di Livigno le classi, undici in tutto, sono entrate a lezione a giorni alterni, non più di due ore a mattina: «Così poche che eravamo, è stato già un miracolo riuscire a farli venire, sti ragazzi», sospira la vicepreside Giuseppina Galli, prof di matematica. Sfodera il sorriso rassegnato di chi non sa più sorprendersi: «Da noi questa storia si ripete praticamente tutti gli anni. Stavolta è stata un po’ peggio del solito». Colpa di contrattempi burocratici: ministero, provveditorato, graduatorie tutte inceppate. Ritardi ma soprattutto rinunce. Perché la verità è che quassù non ci vogliono venire a fare l’insegnante.

 

Ore 8 del mattino, 2 gradi sotto zero. Per i livignaschi è roba da mammolette: «Quando arriva il freddo vero si va anche sotto di 35». La tormenta di sabato notte marchia ancora in centimetri di neve indurita marciapiedi e prati candidi, in questa Livigno che si adagia nella valle stretta del torrente Spol. La perla di ghiaccio sul tetto d’Italia si è spopolata di turisti. Sono rimasti praticamente solo i tedeschi, pochi, ad arrancare col bastone facendosi largo fra la neve settembrina, qui dove le tormente capitano anche per Ferragosto. Alberghi e ristoranti tirano in caldo i tavolini dei dehors: comincia la bassa stagione.

 


«Tutti dentro, tutti in classe». I ragazzini della media Aldo Moro, 250 gli iscritti, entrano in fila chiassosa e scompaiono dietro il corridoio di questa scuola che a vederla farebbe invidia a un grande albergo. Nuova nuova, neppure un rigo di matita a sporcare i muri pallidi, perfettamente in tinta con quelli degli hotel di lusso e delle boutique che la fronteggiano leziose, neanche fossimo a Montecarlo. Pietra grigia e infissi di betulla, odore di legno nel corridoio lindo: l’Aldo Moro è un grande chalet dal profilo quieto. Sta a venti passi dalla chiesa di Santa Maria, col tetto aguzzo del campanile che buca le nuvole. Qui gli alunni si chiamano Cusini, Bormolini, Rodigari: sfrecciano in bicicletta sfidando la strada ancora ghiacciata. In inverno dopo la scuola, finché il sole lo consente, fanno i compiti e poi via a sciare. La maggior parte dei loro insegnanti ha altri cognomi. Arrivano dal Sud perché quelli del Nord a Livigno non ci vogliono venire.

 

«Provate  a farla, questa strada, la mattina a gennaio». Eppure Margherita quassù, a quasi 2000 metri di altezza, c’è venuta: «Il lavoro è lavoro. Si va dove si trova». Di cognome fa Stimolo: arriva dal fondo allo Stivale, provincia di Catania, Acireale. A casa tre figli, uno già grande, gli altri ancora adolescenti. Una laurea in biologia e la voglia di fare la prof, matematica e scienze: «E mi viene da piangere, quando ci penso che sono così lontana. Ma cosa potevo fare? A casa mia sarei stata una disoccupata». La verità è anche un’altra: «Ci hanno tagliato fuori, prima hanno chiuso la Siss e poi hanno fatto sparire gli esami per l’abilitazione». Così Margherita è finita in «terza fascia», quella dei non abilitati. In parole povere è una precaria a vita. Allora ha fatto domanda per la provincia di Sondrio. Subito è arrivata la chiamata alle armi: «Tre anni fa. Ho fatto le valigie e ho preso il primo volo Catania-Milano». A Livigno, dove le camere d’albergo costano anche 200 euro a notte, il prof non vuole farlo nessuno. «Che c’è da stupirsi? È una scelta da fame». Così i posti vuoti li rimpiazzano gli italiani del Sud. Venuti quaggiù, al Nord.