Milano, 30 luglio 2011 - Arriverebbero a un miliardo di vecchie lire le tangenti che l'imprenditore Piero Di Caterina avrebbe pagato tra il 1997 e il 2003 all'allora sindaco di Sesto San Giovanni Filippo Penati e al suo ex braccio destro Giordano Vimercati o ad altre persone da loro indicate.

La somma, versata in un'unica soluzione è segnata su un foglio formato A4 consegnato dall'imprenditore titolare della Caronte e ora agli atti dell'inchiesta dei pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia su un presunto giro di tangenti legate a operazioni edilizie nella aree ex Falck e Marelli e alla gestione del Servizio Intergrato Trasporto Alto Milanese, il Sitam.

Sul foglio accanto all'indicazione ''crediti verso Penati/Vimercati'' sono riportati i conti fatti, a quanto pare, con un vecchio modello di calcolatrice. Oltre al miliardo, un'altra volta di Caterina risulterebbe aver versato in una
sola tranche 450 milioni di lire, poi 120 milioni, cento, 79 fino ad arrivare a uno o due milioni. Il tutto per un totale, come lui stesso ha messo a verbale il 26 giugno dell'anno scorso, di circa 2 miliardi e 235 milioni di lire.

Cifra che sarebbe stata poi richiesta indietro da Di Caterina e 'restituita' in parte anni dopo tramite una 'finta' caparra immobiliare versata, secondo la ricostruzione degli inquirenti, da Bruno Binasco, amministratore del gruppo Gavio, su richiesta dello stessa Penati.

Ai pm inoltre Di Caterina ha spiegato nel verbale datato 24 giugno che i contratti di vendita degli immobili e quello di marketing territoriale 'studiato' per versare nel 2005 all'assessore Di Leva 1,5 milioni di euro, servivano a Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche e a Giovanni Camozzi, legale del Gruppo Zunino, diventato proprietario dell'area ex Falck, per ''creare delle provviste per provvedere al pagamento dei politici''.

Di Caterina ha ammesso: ''Mi contestate che le operazioni bancarie relative ai soldi da me ricevuti da Icr (Immobiliare Cascina Rubina, ndr) e dati a Grossi hanno un senso solo se tutte le operazioni fatte dalle
mie societa' con Icr, vale a dire il contratto di marketing territoriale e i contratti di vendita degli immobili, vengono
lette come un'unica operazione per creare delle provviste con cui provvedere al pagamento dei politici ovvero da restituire a Grossi, nonche' miei vantaggi economici; vi dico che avete ragione in quanto tutti i contratti da voi
citati sono il frutto di una trattativa complessa tra me, Grossi e Camozzi e che una parte delle somme doveva essere retrocessa''.

In un interrogatorio di tre giorni prima, Di Caterina parla della sua conoscenza di ''lunga data'' con un altro imprenditore e ''socio'' di Grossi e cioe' di Stefano Miccolis (non indagato), il cui nome e' spuntato nell'indagine di Bari con al centro Giampaolo Tarantini e il presunto giro di escort da portare alle feste nelle residenze di Silvio Berlusconi e per  ricambiare, a dire dello stesso Tarantini, i favori ricevuti dall'allora vice presidente della Regione Puglia Sandro Frisullo, in quota Pd. Tarantini aveva anche messo a verbale che Miccolis aveva partecipato a una festa elettorale organizzata nel 2007 per Massimo D'Alema.

Ma Filippo Penati non ci sta e torna a replicare ai suoi accusatori. Dell'imprenditore Piero Di Caterina dice che ''la spara grossa''. ''Dopo aver nei giorni scorsi detto tutto e il contrario di tutto, parlando prima di 100 milioni di lire per poi accennare a 20, 30 milioni, oggi, per fare di nuovo notizia, e' obbligato ad alzare il carico e spararla grossa, parlando di un miliardo in una sola volta''. ''Ogni giorno che passa - aggiunge l'ex presidente della
Provincia di Milano - va in frantumi la credibilita' dei miei accusatori; emergono continue falsita' e pesanti contraddizioni e cosi' crescono anche sui media  i dubbi sulla veridicita' e genuinita' delle loro dichiarazioni. Continuano le ricostruzioni parziali, contraddittorie e unilaterali indotte da persone coinvolte nella stessa vicenda giudiziaria che con una montagna di calunnie mi stanno accusando per coprire i loro guai giudiziari".