Cologno, ha risolto l’emergenza rifiuti: rischia trent’anni di galera

Subcommissario a Napoli: 175 udienze in 6 anni

Giulio Facchi, 61 anni (Spf)

Giulio Facchi, 61 anni (Spf)

Cologno Monzese, 15 giugno 2016 - Trent'anni. Come un terrorista. Un mafioso. O un assassino, ma di quelli peggiori. Il «delinquente» - come lo ha definito ripetutamente l’accusa - che merita una pena tanto severa, è Giulio Facchi, 61 anni, noto esponente dei Verdi ed ex assessore alla provincia di Milano, chiamato a rivestire l’ingrato compito di subcommissario ai rifiuti in Campania, alla fine del secolo scorso. Dopo 175 udienze di un processo iniziato sei anni fa, il pm ha chiesto per lui trent’anni di reclusione. La sua colpa: aver rilasciato alcune autorizzazioni alla discarica Resit di Cipriano Chianese, in qualità di subcommissario ai rifiuti. Facchi è accusato di disastro ambientale con avvelenamento delle acque, abuso d’ufficio e falso ideologico. Reati peraltro prescritti, se non fosse per una aggravante contestata: aver favorito la camorra.

Correva l’anno 1999. Facchi, forte della sua esperienza nella gestione dell’emergenza rifiuti nel Milanese, è chiamato dal ministro Edo Ronchi a collaborare con il commissario campano, Andrea Losco prima e Antonio Bassolino poi. «Bisognava rientrare nei parametri imposti dal decreto Ronchi sullo smaltimento - ricorda Facchi -: significava avviare la raccolta differenziata, autorizzare gli impianti di trattamento e, nel frattempo, gestire l’emergenza».

Compito improbo. «Per realizzare gli impianti servivano procedure complesse e, tra proteste e lungaggini varie, non si riuscivano ad aprire nuove discariche - prosegue Facchi -. Ma i sacchi si accumulavano in mezzo alle strade: non si riuscivano a smaltire tremila tonnellate al giorno, più del doppio di quanto produce Milano. Il massimo dell’emergenza, con Bertolaso, è stata di 25mila tonnellate da collocare, a quel tempo se ne erano accumulate oltre tre milioni. Le abbiamo provate tutte: ecoballe inviate in Germania, accordi di smaltimento con Emilia, Lombardia e altre Regioni». I tir viaggiavano di notte, su e giù per l’Italia. Tra incendi e manifestazioni di piazza, quella del Duemila è l’estate più rovente in Campania. I guai per Facchi iniziano tra il 2001 e il 2003, con alcune autorizzazioni a sua firma. «Tutte le decisioni erano concordate con la prefettura - rimarca Facchi -. Cercavamo di far durare più possibile le discariche esistenti. Nella Resit c’era un avvallamento che doveva essere riempito con terra, Chianese chiedeva di utilizzare inerti e noi avevamo necessità di usarla».

Errori, come ha sottolineato l’avvocato di Facchi nella richiesta di assoluzione, ce ne possono essere stati, eccome. «I poteri speciali dei commissari, per antonomasia, sono l’opposto delle leggi», ammette Facchi. Tuttavia, a far la parte del camorrista, anche solo indirettamente, proprio non ci sta: «Non c’è nessuna contestazione di associazione a delinquere, avrei favorito indirettamente la camorra ma senza nemmeno un euro in cambio - sottolinea Facchi -. È stato ipotizzato un mio rapporto con Nicola Cosentino, di cui però ero testimone contro in un altro processo. Le ipotesi d’accusa sono cambiate ripetutamente: una volta ero complice di Chianese, un’altra ero vittima di una sua estorsione. Il suo certificato antimafia era in regola, ma secondo il pm dovevo sapere che era un camorrista». Che Facchi non lo sia lo hanno detto, a chiare lettere, proprio gli ex ministri Edo Ronchi e Gianfranco Mattioli, gli ex parlamentari Verdi Luigi Manconi e Massimo Scalia, nonché Tommaso Sodano, diventato poi assessore a Napoli: insieme hanno firmato un manifesto in cui si dicono increduli.

«Non sarei stato soddisfatto nemmeno di una richiesta di condanna di due anni - dice Facchi -. Trenta sembrano un paradosso, che però si inquadra in una vicenda che ha visto il coinvolgimento persino dei servizi segreti. Bassolino e Fibe sono stati assolti, Renzi e De Luca puntano milioni sul risanamento della Terra dei fuochi. Solo che io con la terra dei fuochi non c’entro nulla: sono arrivato nel ’99, non prima. Eppure io sembro il mostro, anche se la mia storia dice il contrario: sono stato io a bloccare Cerro Maggiore, mi sono battuto per l’inasprimento delle pene nei reati ambientali». Facchi ne parlerà questa sera nella sua città: «Voglio che sentano la mia storia, almeno chi mi conosce».