Sesto San Giovanni, 27 luglio 2013 - Ieri l'apertura del nuovo padiglione Cetacei, la “casa dei delfini” all’acquario di Genova. Oggi l’inaugurazione del Muse, “la montagna”, il museo delle Scienze di Trento. E lunedì, a Palazzo Lombardia, la firma decisiva per la Città della salute e della ricerca sulle ex Falck. Tra un viaggio a Pechino e una puntata a Londra, sono giorni di fuoco per Renzo Piano. Che pure, entro fine mese - insieme ai suoi più stretti collaboratori, Susanna Scarabicchi e Giorgio Grandi - ha un altro importante progetto da portare a termine: la variante al piano Falck, proprio in virtù dell’arrivo del maxi polo ospedaliero.

Architetto, dopo mesi di tira e molla per la concorrenza del Cerba, finalmente la firma. Ha temuto per la Città della salute e della ricerca?
«No, perché ero convinto che su tutto sarebbe prevalsa la ragionevolezza della scelta: in un’area in città, già ben servita, e che sarà immersa nel verde. C’è un’oggettività, senza polemica. Anche perché con Veronesi ho lavorato tanto, per il Cerba e proprio al progetto di un ospedale modello».

È il sogno che diventa realtà?
«Perché no, il giusto mix tra l’ospedale a padiglioni ottocentesco, costruito nel verde ma poco funzionale, e il monoblocco del Novecento, meglio organizzato ma poco accogliente. Il bando di gara europeo contiene le linee-guida progettuali».

In concreto?
«Un ospedale massimo di quattro piani, con le camere ad altezza alberi, cinque padiglioni tra cui penetra il verde. Due piani interrati su un’unica piattaforma, per sale operatorie e laboratori: la “macchina” sta sotto. Il piano terra, con l’accoglienza, gli ambulatori e il day hospital, è di raccordo con la città, perché un ospedale non è una fortezza chiusa. È una “fabbrica bianca”».

Cosa ne sarà del grande parco urbano, che cede 200mila metri quadrati su 480?
«Se significa “sarà dimezzato”, la risposta è no. Intanto le superfici a verde rimangono: l’ingombro a terra degli edifici è di soli 20mila metri quadrati. E saranno accessibili e fruibili. E poi una parte consistente sarà destinata a orto e frutteto».

Sui terreni bonificati?
«Certo: 70mila metri quadrati saranno dedicati alla coltivazione di frutta e verdura per i pazienti degli ospedali, ma che potranno servire anche dal punto di vista didattico, visto che nel vecchio Laminatoio, proprio adiacente, ci saranno scuole elementari e medie. E poi è terapeutico stare nel verde e prendersene cura. Il verde è sinonimo di guarigione. Ed è uno dei fili conduttori di tutto il progetto. Non è romanticismo: non è solo decorativo, è un elemento di raccordo con la città consolidata. E sarà, dove possibile, di copertura agli edifici: significa temperature più basse d’estate».

Oltre all’ospedale, anche la stazione modello?
«È un progetto interessante, un prototipo non solo per Sesto ma per tutte le città figlie e schiave della ferrovia, cresciute attorno ai binari e tagliate in due. Pensiamo a una stazione a ponte, con due piazze a fare da cucitura tra una parte e l’altra, e sopra la biglietteria e i servizi commerciali».

La riqualificazione sarà imponente, su un milione e 400mila metri quadrati di area. E lunga, si parla almeno di quindici anni. Riuscirà ad essere armonica?
«Il progetto è suddiviso in fasi e in unità di intervento: ciascuna è pensata per essere autosufficiente, con case, negozi di quartiere, uffici, scuole e servizi, tutte le infrastrutture necessarie. Se si costruiscono le nuove, senza che le precedenti siano “invecchiate” nel modo corretto, non si riuscirà a portarle a termine con le giuste modalità».

Con quali rischi?
«Di creare isolati dormitorio invivibili. E poi invenduti. La scommessa si gioca sulla qualità, con la costruzione di edifici efficienti dal punto di vista energetico, attivo e passivo, che non significa solo pannelli fotovoltaici e verde sui tetti, ma anche l’utilizzo di materiali che durano nel tempo, come la ceramica per i rivestimenti. E alberature su tutte le strade, per abbassare la percezione del caldo. Questa, in concreto, è la crescita sostenibile».

di Patrizia Longo