Sistema Sesto, Penati: "Mi hanno restituito l’onore. Ma a che prezzo"

L’ex uomo forte del Pd e la tentazione del ritorno in politica: "Mai dire mai" di RAFFAELLA FOLETTI

Penati lascia il tribunale dopo il processo (Ansa)

Penati lascia il tribunale dopo il processo (Ansa)

Milano, 11 dicembre 2015 - Il Pd che l’ha lasciato affondare. La Procura che l’ha usato per avere la ribalta. Il Tribunale che «mi ha restituito l’onorabilità». Filippo Penati parla con Il Giorno a poche ore dalla sentenza.

Cos’ha provato sentendo «assolto»?

«Grande soddisfazione e sollievo. Per me è vitale che si sappia che non sono corrotto. Non mi sono arricchito con la politica, una passione prima che un mestiere».

Si aspettava questa sentenza?

«Ne ero certo fin dall’inizio. Tuttavia sono stato appeso a un filo».

Qual è stato il momento più brutto dal luglio 2011?

«Quando sulla prima pagina di un quotidiano nazionale ho letto: “Si è comportato come un delinquente patentato”. L’ho letta on line prima che mi venissero consegnati gli atti dov’era inserita».

E dell’inchiesta come ha saputo?

«Il 20 luglio 2011 alle 6.55 la Guardia di finanza ha suonato il citofono per notificarmi l’avviso di garanzia e perquisirmi la casa. Prima delle 9 la notizia era già sui giornali on line».

Perché è finito indagato?

«Nel processo è emerso con chiarezza che Piero Di Caterina (uno dei due accusatori, ndr) ha speso il mio nome con accuse false per salvare se stesso. A Milano la Procura non gli ha creduto, a Monza sì».

Qual è il suo peggior rammarico?

«Aver consentito a certe persone di avvicinarsi troppo. Non sono ingenuo ma con loro ho peccato di leggerezza».

Odia i due imprenditori che l’hanno tirata in ballo?

«Non ho mai odiato nessuno, rifuggo da questo sentimento perché, se non trova uno sbocco, ti si rivolge contro. Tuttavia ho un forte e lucido risentimento verso Pasini e Di Caterina, ingrati e mentitori. Pasini l’ho già citato in sede civile, ora farò lo stesso con l’altro».

E la Procura di Monza?

«Hanno voluto a tutti i costi un processo senza prove, anziché fermarsi quando non trovavano riscontri. Non gli è parso vero di avere per le mani, grazie al mio nome e al mio ruolo politico, un’indagine di evidenza nazionale. Non si sono fatti scrupoli né per la mia vita né dei costi per la collettività. I giudici mi hanno restituito fiducia nella giustizia».

E il suo partito, il Pd?

«Il Pd non è il mio partito ma il mio ex partito. Mi hanno espulso un mese dopo il solo avviso di garanzia. Mi hanno lasciato affogare. Il mio fu un trattamento ad personam».

Bersani?

«L’ultima volta che gli ho parlato era il giorno prima della perquisizione. Poi non ci siamo più sentiti. Adesso (ieri, ndr) mi ha mandato un sms: “Era ora, ti abbraccio”».

La pm dice che la prescrizione della concussione le ha fatto gioco.

«Eppure è stata proprio lei a chiederla, io ho fatto ricorso in Cassazione e l’ho perso. Tuttavia perché i fatti contestati arrivino comunque in aula, ho chiesto i danni in sede civile. Non ho nulla da nascondere sotto il tappeto».

Come ha vissuto questi anni?

«All’inizio è stato terribile. Una violenza così intensa e prolungata. Ho resistito e mi sono scoperto piu forte di quanto avessi mai immaginato. Ho rinunciato a tutti gli incarichi. Da personalità politica mi sono trovato a difendere la mia onorabilità. Alla fine scrivere due gialli e tornare a insegnare mi ha aiutato a trovare un nuovo senso alla mia vita».

Tornerà in politica?

«In questi anni non ci ho mai pensato. La vita però mi ha insegnato che mai dire mai».

raffaella.foletti@ilgiorno.net