Il caso Penati non è chiuso. La Procura va in appello

L’ex presidente della Provincia: decisione kamikaze di STEFANIA TOTARO

Il pm Walter Mapelli

Il pm Walter Mapelli

Monza, 8 marzo 2016 - Ricorso in appello contro l’assoluzione di Filippo Penati. Lo ha deciso la Procura di Monza, che sta preparando i motivi - da presentare alla Corte di Appello di Milano - per cui, secondo i pm Franca Macchia e Walter Mapelli, non dovevano essere assolti l’ex presidente della Provincia di Milano e altri 10 imputati dall’accusa di corruzione e finanziamento illecito al partito nel processo al Tribunale di Monza sul cosiddetto “Sistema Sesto”. Il ricorso non avrà ad oggetto il capo di imputazione ormai destinato alla prescrizione. Quello per la vendita nel 2008 dell’immobile del patron dei trasporti Piero Di Caterina alla Provincia di Milano destinato ai rom e per la delibera del 2009 della Provincia di Milano sulla redistribuzione dei proventi dei trasporti pubblici a favore della “Caronte” di Di Caterina. Il ricorso in appello riguarderà invece l’altra accusa di corruzione per la vicenda relativa alla presunta falsa caparra di 2 milioni di euro pagata a Di Caterina da Codelfa, la società del Gruppo Gavio, in cambio, secondo l’accusa, del riconoscimento a Codelfa di “riserve” non dovute sui lavori per la terza corsia dell’autostrada A7 da parte di Milano Serravalle, controllata dalla Provincia di Milano e i finanziamenti a Penati attraverso la Fondazione ‘Fare Metropoli’. La Procura aveva chiesto per Penati la condanna a 4 anni e per altri 9 imputati (tranne Giordano Vimercati) pene da 2 anni e mezzo a 1 anno e 4 mesi.

«I giudici hanno ritenuto che il Sistema Sesto sia esistito, ma non per Penati» - sostengono i pm, secondo cui il nucleo principale dell’indagine, quello relativo alle maxi-tangenti in cambio di permessi edilizi in aree ex Falck e Marelli, è stato «sfasciato» dalla prescrizione intervenuta per via della cosiddetta Legge Severino, rendendo «più difficile il resto». «È stata la Procura ad aspettare quasi 2 anni prima di arrivare a processo - ribatte Filippo Penati - Da parte nostra non c’è stata nessuna pratica dilatatoria. Se ora ritiene di ricorrere in appello, la ritengo una decisione kamikaze perché la sentenza del Tribunale di Monza è chiara. Nei miei confronti c’è stato un accanimento ingiustificato. Questo processo non si doveva fare e la decisione di ricorrere in appello conferma che esiste un pregiudizio nei miei confronti». Il difensore di Penati, l’avvocato Matteo Calori, aggiunge poi che la presunta corruzione relativa alla vicenda Codelfa «si prescrive a maggio».