Sesto, il dramma degli ex dipendenti Ge: "Viviamo un incubo quotidiano"

Dopo l’occupazione della fabbrica e con la mobilità in scadenza

Il presidio degli operai nella fabbrica

Il presidio degli operai nella fabbrica

Sesto San Giovanni (Milano), 15 dicembre 2017 - Giuseppe da cinque mesi fa il “mammo”. Anche Marco passa le giornate ad accompagnare il figlio a scuola e a sistemare casa. "Mia moglie mi chiama il casalingo disperato". Poi c’è Francis che, per ammazzare letteralmente il tempo, si piazza appuntamenti e commissioni sempre più lontano: fino a Bergamo anche solo per comprare l’occorrente per dipingere. È una quotidianità senza nulla da fare quella degli ex dipendenti di General Electric, ceduti da Alstom e poi licenziati definitivamente dalla multinazionale americana. Senza lavoro e con una mobilità che scadrà il 31 dicembre. "Come mi vedo tra un anno? Proprio non lo so. Ma non mi immagino neanche fra tre mesi - confessa Marco Pasquini, per 12 anni magazziniere in viale Edison -. Siamo stati un anno e mezzo dentro quella fabbrica, isolati dal mondo. Abbiamo vissuto in un microcosmo. E il ritorno alla realtà è stato traumatico. Non abbiamo più nulla". Quasi 18 mesi di presidio permanente, con tanto di turni 24 ore su 24, e poi l’accordo del 25 luglio: ritiro dei contenziosi, licenziamento, una piccola buonauscita e l’addio alla fabbrica.

"Da quel giorno siamo ancora spaesati. Ho 47 anni, un figlio, un mutuo. Andiamo avanti con i quattro soldi che avevamo da parte. Quelli di Ge sono già finiti. Facevo avanti e indietro da Trezzo ogni giorno. Vengo ancora a Sesto, si cerca di stare insieme ai colleghi rimasti". In questi mesi Marco ha dovuto affrontare anche la perdita della madre. Giuseppe Esposito, 36 anni, è diventato invece papà per la seconda volta mentre stava occupando la fabbrica. "È nato il giorno in cui abbiamo dovuto abbandonare il presidio. Per 7 mesi ho fatto sempre le notti in quel capannone. Più di adesso, visto che ad alzarsi è mia moglie". In Alstom è entrato nel 2006 come avvolgitore. "Oggi faccio il mammo: sto a casa col piccolo, porto a calcio, musica e catechismo l’altro. Seguo i figli e pulisco casa".

Francis Bisceglia, 34 anni, per 10 anni avvolgitore e brasatore, il capannone lo aveva occupato assieme a Charlie, la sua blatta del Madagascar diventata protagonista di alcune delle sue opere d’arte. "Ora vive in colonia: sta bene, la società non l’ha schiacciato". Anche il suo gatto nero, Mister White, è altrove. "L’ho dato alla mia gattara. Adesso devo pensare a star bene io. Non ce la faccio a prendermi cura degli altri. Chi ha moglie e figli riesce ad avere una quotidianità. Ma chi, come me, è single si trova a dover affrontare le giornate col nulla. Ti crei impegni finti, poi arriva il giorno in cui ti svegli e ti dici ‘E ora che faccio?’. Vorrei riuscire a dormire: quando spengo la luce, ho 3mila pensieri che mi bombardano la testa". Nell’anno e mezzo di presidio tante le sculture create sulla condizione dell’operaio. "Ho tutto a casa e in un box che ho dovuto prendere in affitto". E mentre sogna un posto da custode in un cimitero, insieme ai compagni guarda al futuro dell’area. "Speriamo che il nuovo anno porti un compratore, ma non possiamo più vivere aspettando. Per questo, confidiamo nel progetto della Regione per il nostro reinserimento lavorativo".