Sesto San Giovanni, 12 giugno 2014 - Lo spazio non manca, quindi c’è voluto un po’ di tempo per arredare i locali. Che, oggi, ospitano due famiglie con bambini. Pianta aperta, vista ferrovia da una parte e cavalcavia Buonarroti dall’altra. Pieno Restellone. Più precisamente, area ex Enichem. Perché quello in cui si sono insediate non è un loft, ma un edificio fatiscente, ex industriale, tra le vie Luini e Montesanto.

Occupazione abusiva da parte di alcuni rom, che abitano nel capannone all’interno di un comparto dismesso da oltre 25 anni e tutto da bonificare dai veleni chimici presenti nei terreni. Le due famiglie sono addirittura riuscite ad allacciarsi alla rete idrica ed elettrica. Tanto che due finestre dell’immobile sono sempre illuminate a giorno.

«Hanno addirittura l’aria condizionata», dicono i residenti di via Luini, che dai loro balconi osservano quello che succede al di là dei cancelli. I nomadi, di quell’area recintata, avrebbero pure le chiavi a detta degli abitanti del Restellone. Entrano ed escono con le loro roulotte. E pure con i camion. Perché lì dentro, dicono, si scarica di tutto e si smercia di tutto: soprattutto ferro e poi altri materiali che vengono venduti sul mercato nero. «Quasi quasi potremmo cambiare la destinazione d’uso di quest’area e metterla a commerciale», ironizza Tullio Attanasio, portavoce del comitato cittadino, che però non ha ancora presentato esposto in commissariato né alla polizia locale.

Area abbandonata, in verità dopo un percorso travagliato iniziato nel 2001 un piano integrato di intervento il consiglio comunale era pure arrivato a votarlo: era il marzo del 2008 e su quei 16mila metri quadri sarebbero dovuti sorgere case, un parco e la sede della Cri. Restellone Habitat il nome del progetto per mano di Aree srl, la società promotrice dell’intervento la cui progettazione era stata affidata allo studio di architettura Torlaschi.

Purtroppo di quel piano non si è visto nulla, bonifiche comprese: nessun recupero nell’interesse pubblico, il Pii è decaduto perché Comune e operatore non firmarono la convenzione entro i termini di legge. Già due anni fa Orazio La Corte, residente del quartiere e all’epoca consigliere comunale dei Verdi, aveva denunciato con un’interrogazione che l’area era diventata una discarica a cielo aperto «con topi di 40 centimetri». Stasera il comitato incontrerà il vicesindaco per cercare di sciogliere i nodi irrisolti: occupazione dell’ex Enichem, cantiere del metrò fermo e quello della moschea non ancora aperto.