ANCHE Anas chiederà i danni per lo scandalo della passerella ciclopedonale di viale Brianza a Cinisello. L’ente committente dei lavori si costituisce parte civile all’apertura del processo al Tribunale di Monza che vede cinque imputati a vario titolo per reati legati alla sicurezza dei trasporti e per minacce. All’udienza preliminare si erano già costituiti parti civili Impregilo, che aveva messo in sicurezza la passerella dopo lo scandalo, e Gennaro Ciliberto, l’ex addetto alla sicurezza del cantiere che, con la sua denuncia, aveva fatto partire le indagini del pm Franca Macchia nel 2011. Dopo tale denuncia, sarebbe stato minacciato. Secondo l’accusa, la passerella era pericolosa perché - stando a una perizia tecnica fatta eseguire dalla Procura di Monza - i pezzi montati non erano idonei. Agli operai sarebbe stato allora ordinato di riempire gli spazi vuoti con tondini di ferro prima di assemblarli e saldarli. Accuse tutte negate dagli imputati. Una cinquantina i testimoni e 13 le telefonate intercettate. Il processo entrerà però nel vivo dal 26 gennaio 2015 e sono fissate udienze fino a luglio dell’anno prossimo. Stefania Totaro

di Rosario Palazzolo
Cinisello Balsamo, 18 marzo 2014 – «Non aprite al pubblico quella passerella, perché potrebbe crollare da un momento all’altro». Nella primavera del 2011, quando Gennaro Ciliberto si presentò prima davanti ai magistrati della procura di Milano e successivamente ai colleghi della procura di Monza per denunciare irregolarità e omissioni nella realizzazione del colossale ponte ciclopedonale che sovrasta viale Brianza a Cinisello, venne quasi preso per pazzo.

Un visionario, chissà, un millantatore. Ieri mattina l’ex responsabile della sicurezza della Carpenfer Roma, la società napoletana che ha realizzato per conto di Anas e Impregilo il collegamento del costo di circa 10 milioni, era presente in qualità di parte civile alla prima udienza dibattimentale del processo a carico dei titolari dell’azienda napoletana e di un funzionario di Impregilo.

Gli imputati sono accusati a vario titolo di aver mal realizzato l’infrastruttura in acciaio che attualmente, dopo un sequestro giudiziario e un corposo piano di verifica e «interventi di rinforzo», rimane ancora chiusa al pubblico. «Presente signor giudice», ha scandito a voce alta Ciliberto al momento dell’appello del giudice Giuseppina Barbara, quasi a volersi liberare di un peso che ha tenuto in gola per più di tre anni. In questo lasso di tempo il tecnico napoletano è stato costretto a fuggire da casa. A nascondersi e a rinunciare alla famiglia.

A vivere con la sensazione di essere braccato da quei colleghi di lavoro che oggi lui accusa. Dopo tre anni, la sua testimonianza è stata stata verificata alle luce delle perizie e dei fatti: i rischi di crollo dichiarati da Ciliberto si sono rivelati veritieri al punto che Anas e Impregilo hanno dovuto lavorare quasi un anno per rinforzare tutte le saldature delle parti in acciaio dei tre bracci della maxi passerella sulla Statale 36.

Cosa ha provato entrando in aula?
«Ho risposto all’appello con la voce forte, perché voglio che si sappia che questo momento l’ho desiderato per quasi 4 anni. Stamattina ero solamente determinato a portare avanti fino in fondo il mio ruolo».

Cosa è cambiato nella sua vita in questo tempo?
«È cambiato tutto. Mi sono ritrovato a fuggire da casa. Nei primi momenti ero disperato. Anche mia moglie si è dissociata dalle mie dichiarazioni e oggi non posso più vedere mia figlia. Ho dovuto combattere contro tutto e tutti prima di essere ascoltato. All’inizio tutti pensavano che fossi pazzo o che avessi degli interessi nascosti. Poi a Monza ho trovato il pm Franca Macchia che ha avuto la pazienza di verificare le mie dichiarazioni e che si è impegnata con serietà in questa vicenda».

Torniamo a quello che è accaduto. Pensa che oggi sia tutto chiaro?
«Non ancora. Spero che il processo servirà a far emergere tutto. Il ponte di Cinisello è solamente una delle opere che ho segnalato».

Su quella passerella si è lavorato e i problemi sono stati accertati e risolti...
«Si ricordi che una gamba rotta rimane rotta. È stata certamente riparata al meglio, ma l’opera è ormai è quello che è».

È arrivato in aula scortato, teme per la sua vita?
«Fin dal primo giorno. Ho toccato interessi grandissimi. Ho avuto accesso al programma di protezione solamente 20 girni fa. Per tre anni mi sono dovuto arrangiare nei posti più assurdi. Ho speso tutti i miei soldi per nascondermi, quasi 60mila euro. Ora ho dalla mia i carabinieri che ringrazio per la loro protezione».

Un rammarico?
«Mi spiace che il Comune di Cinisello non si sia costituito parte civile. Avere una comunità accanto mi avrebbe dato più forza».

rosario.palazzolo@ilgiorno.net