di Raffaella Foletti

Sesto San Giovanni, 30 settembre 2013 - La carriera politica alle spalle, i guai giudiziari in pieno corso. E a metà novembre, il debutto in libreria con il giallo «La casa dei notai» (208 pagine, Robin Ed.).

Filippo Penati, ora veste i panni dello scrittore esordiente.
«Ma quale scrittore. Mi sento piuttosto un artigiano delle trame. Sa, come un falegname che prende i pezzi e li inchioda insieme».

Com’è le è venuta questa idea?
«Ho sempre sognato a occhi aperti di buttare giù un romanzo. Tutti noi accaniti lettori, quando ci guardiamo allo specchio o prima di addormentarci, rinviamo il salto della barricata a quando avremo più tempo libero».

Tempo lasciato libero dalla politica?
«Ma no. Nel settembre 2012, tornando dalle vacanze, abbiamo scoperto una perdita d’acqua che scendeva dal vicino. Mia moglie e io ci siamo alternati nel tenere la casa aperta agli operai. È stato allora che ho aperto un foglio bianco sul mio Ipad».

Ma non per rivelare i retroscena del «sistema corruzione», come ha fatto il suo accusatore Piero Di Caterina.
«Le mie vicende giudiziarie saranno chiarite nell’unica sede possibile, il Tribunale che mi assolverà. Non è certo in libreria che devo ristabilire la mia onorabilità. E non sono nemmeno Napoleone, da mettermi a scrivere le mie memorie».

Perché ha scelto di cimentarsi con un giallo?
«Ho sempre amato questo genere di letteratura. George Simenon, così rilassante con le sue suggestioni e quelle straordinarie descrizioni dei luoghi. Il californiano Erle Stanley Gardner, avvocato liberale delle minoranze messicane, “papà” di Perry Mason. Ma anche i legal thriller di Grisham».

Scrivere le ha consentito di evadere tanto quanto leggere?
«Ho apprezzato il vantaggio di tenere impegnata la mente da ben altri eventi. Staccavo il telefono, stavo solo dentro a quei luogi e quelle azioni. Il libro mi ha tenuto sgombro il cervello, spero faccia lo stesso piacevole effetto ai lettori».

Quel primo foglio vuoto, come ha trovato il suo seguito?
«Scrivendo a ruota libera. In venti giorni la stesura di getto era già finita, personaggi e avvenimenti erano tutti lì. A Natale la rifinitura e lo scorso febbraio, pur continuando a limare, stavo già cercando un editore».

Com’è il suo commissario Giorgi?
«Non ha la pipa di Maigret né l’impermeabile del tenente Colombo. È volutamente poco caratterizzato: sui 50 anni, una figlia di 20, una Harley. Non è aggressivo, non dice parolacce. Rispettoso e rigoroso, è un uomo normale che, grazie alla deduzione, ricostruisce pezzetto dopo pezzetto la verità da scoprire».

Qual è il mistero da decifrare?
«L’uccisione di una donna appartenente a una famiglia illustre, disposta a tutto per conservare un segreto ed evitare lo scandalo. E poi c’è anche l’enigma di un biglietto della lotteria. Ma in anteprima non lo svelo a nessuno».

raffaella.foletti@ilgiorno.net