Sesto S. Giovanni, 1 agosto 2011 - Tutte le operazioni immobiliari gestite dallo studio Magni sono sul filo del rasoio. E con questo intendo al limite della legalità». A parlare ai pm di Monza è Laura Barili, una dei due architetti che lavoravano nello studio dell’indagato Marco Magni. I magistrati hanno raccolto la testimonianza con quella del collega Giuseppe Corengia per cercare riscontri alle dichiarazioni di Piero Di Caterina.
 

Due le accuse dell’imprenditore: la scelta di avvalersi di Magni per operazioni immobiliari, su indicazione dell’assessore all’Edilizia privata Pasqualino Di Leva «così le cose sarebbero andate per il verso giusto»; e che Magni gli avrebbe detto di pagare «corrispettivi a Di Leva e alla geometra Sostaro (responsabile dello Sportello unico, ndr), con la formula degli oneri conglobati». Dai racconti dei due architetti emerge non solo una «corsia preferenziale» per i progetti, ma anche «un’interpretazione degli strumenti urbanistici molto discutibile».
 

Qualche esempio. Via Lacerra: costruzione di un palazzo residenziale di tre piani a ridosso dei binari, al posto di un capannone, pur «in presenza di un diniego autorizzativo da parte delle FS». Viale Gramsci 212: costruzione di un palazzo residenziale di otto piani, proprio dove ha trasferito studio e abitazione Magni, al posto del capannone Sessa. «Aumenti e trasferimenti di volumetria discutibili», precisa Corengia a verbale.

«L’anomalia era accentuata dalla circostanza che, a fronte di una modifica planovolumetrica, non vi era stato passaggio in Consiglio comunale ma si era proceduto con concessione semplice, pur se la valutazione era inglobata in un Pii», sottolinea Barili, che aveva pure «rilevato irregolarità in relazione alle distanze tra pareti finestrate».
 

Viale Casiraghi: «È stato condonato un cambio di destinazione d’uso, attestando che un sottotetto che non possedeva i requisiti di abitabilità è stato dichiarato abitato e trasformato abitabile successivamente al condono».
 

Via Luini: ristrutturazione di un edificio e condono in altezza, «nonostante il piano regolatore disponesse un vincolo storico». «La Sostaro — spiega Barili — prima di rilasciare la concessione, chiese una relazione nella quale si illustrava l’errore del Prg e portò in Giunta la variazione, in contrasto con la normale procedura urbanistica che prevede l’approvazione in variante o un Pii».
 

«È chiaro che a fronte di queste operazioni sul filo del rasoio — conclude Barili — gli oneri conglobati venivano ritenuti da tutto il personale dell’ufficio, nessuno escluso, fondi destinati alla pubblica amministrazione nella persona di Di Leva e della Sostaro». Anche perché, aggiunge il collega, sono «una voce non prevista da alcuna disposizione legislativa, né da regolamenti comunali in materia di edilizia, né dagli ordinari rapporti di carattere privatistico che si hanno con gli architetti».