Paderno Dugnano, 4 maggio 2011 - Un muletto che non si riesce a spegnere e un recipiente blu da 3.000 litri pieno di setacci molecolari combustibili stoccati in malo modo. Una vera bomba di fuoco si è abbattuta sugli operai dell’Eureco di Paderno Dugnano il 4 novembre scorso uccidendone quattro, dopo una lunga agonia.

La prima verità sull’incidente all’interno del polo di smaltimento sostanze pericolose ai bordi della Milano-Meda emerge dalla perizia consegnata ieri dai super tecnici Massimo Bardazza, già «firma» dei casi di Erba e Linate, e Silvano Barberi, comandante dei Vigili del Fuoco di Milano, al pm di Monza, Manuela Massenz, titolare del fascicolo.

Una verità che arriva sei mesi esatti dopo lo scoppio della bomba chimica: sei mesi di lutti, angosce e incertezze. Su cui adesso, finalmente, si comincia a fare un po’ di chiarezza. «Alla base del dramma c’è stata una tragica sequenza di eventi», dicono i cervelli che hanno fatto luce sulla dinamica dell’incendio. Quel pomeriggio poco prima delle 15, nel vascone blu, con il coperchio spostato da un violentissimo ritorno di fiamma, c’è un’enorme quantità di filtrante per gpl, smaltito da un’azienda di cosmetici che opera nel settore delle bombolette spray.

I setacci molecolari servono a eliminare il puzzo del combustibile, ma da esausti danno origine a una nube gassosa micidiale e tanto più pericolosa perché inodore. Il muletto pesca energia dal recipiente, e la tragedia è dietro l’ angolo. La marmitta surriscaldata della macchina fa da detonatore, in un istante accade l’irreparabile. Il rogo divampa e investe il maxi-recipiente, fino all’ultimo tassello del film dell’orrore: sul piazzale dell’azienda ci sono operai che maneggiano contenitori per vernici: «Altra procedura sbagliata», evidenzia la perizia.

Ma è così che le fiamme si moltiplicano fino a trasformarsi in un inferno. I lavoratori non hanno scampo, succede tutto troppo in fretta. Moriranno a intervalli regolari nei mesi successivi: prima Sergio Scapolan, poi Harun Zeqiri e Salvatore Catalano. L’ultimo sarà Leonard Shehu. Il Pm Massenz adesso sa cosa è accaduto quel giorno all’interno dei cancelli di via Mazzini.

È attraverso questa griglia che valuterà la posizione di Giovanni Merlino, titolare della holding padernese. Per lui l’accusa è pesante: omicidio colposo plurimo, ma il suo avvocato Giuseppe Fiorella respinge con forza ogni addebito: «Non ho ancora letto la perizia, ma il mio cliente non ha colpe. Abbiamo detto fin dall’inizio di questa storia che l’incidente è stato causato da errore umano».

La perizia però fissa due punti-chiave. Primo: i setacci molecolari erano stati smaltiti scorrettamente. La procedura prevede che siano consegnati in contenitori ad hoc dalla ditta che se ne deve disfare - in questo caso un marchio del settore bellezza - e che non possano essere raccolti in un unico recipiente.

Secondo: le vernici non devono essere lavorate a mano come è invece accaduto il giorno della tragedia. L’inchiesta avrebbe chiarito che queste procedure non erano eccezioni, ma piuttosto comportamenti abituali all’interno del polo chimico, che grazie a una autocertificazione era uscito dall’imperio della Direttiva Seveso.

Compresi i meccanismi della tremenda esplosione, sullo sfondo resta ancora da chiarire il rapporto Eureco-Tnl, la ditta, una srl, che forniva personale a Merlino dopo l’esternalizzazione delle lavorazioni, di cui erano dipendenti alcune delle vittime. Il rapporto dei tecnici servirà anche all’assicurazione: «È già stata attivata - conferma Fiorella -. Sta lavorando sul fronte del risarcimento del danno».