Sesto San Giovanni, 6 febbraio 2011 - Insieme al critical fashion, al Mage è arrivata anche una carica di donne giovanissime e «con i pantaloni». Under 30 che vogliono fare impresa e che hanno riempito i 15 atélier allestiti ai magazzini generali della Falck. Residuale la presenza dei «maschietti», che pure imperano nei ruoli che gli sono più congeniali: manager, imprenditori, direttori. Anche a Sesto, dove accade che all’incubatore di piccole aziende di via Venezia, il Lib, ci sia solo una realtà diretta da una donna: Athirat di Chiara Ballari.

Eppure dopo Milano, Sesto è la città che regala più spazio alle donne. In rosa si contano 576 ditte individuali, lasciando fuori società di persone, consorzi e cooperative. Il boom maggiore si è registrato proprio nel settore informatico. Aumentano le imprese femminili nella riparazione di computer (+11,6 per cento) e nella fabbricazione di prodotti elettronici (+3,8).

A casa loro non si butta via niente. Da sempre. Nastrini, stoffe, vestiti che non vanno più, parenti e amici mettono tutto da parte per loro. Gusto del risparmio? Forse. Moda vintage? Non proprio. Con quello che finirebbe nel sacco nero della spazzatura, Cora Bellotto e Rossella Scicolone creano abiti e accessori nuovi di zecca. Pantaloni, magliette, borse a tracolla. Si chiama moda etica e sostenibile. Per le due giovanissime stiliste è solo un modo nuovo di concepire i materiali e vestirsi. Ago e filo in mano da quando erano bambine, poi i corsi alla Naba di Milano.

Oggi, poco più che ventenni, il grande salto con una realtà imprenditoriale all’interno del Mage, gli ex magazzini generali della Falck che da due settimane ospitano 15 atelier di creativi under30. «Si tratta di un’occasione enorme — confessa Scicolone — Un laboratorio di queste dimensioni non ce lo saremmo mai potuto permettere. Ma non è solo un discorso economico. È bello respirare questo clima: è un ambiente vivace, siamo tutti giovani».

E quasi tutte donne. Come in Accademia, del resto. «Di maschietti alla macchina da cucire ce ne erano pochi — ammettono — Il tasso di abbandono è altissimo. Si pensa che fare moda sia sfogliare un paio di riviste. Invece, ti fai un bel mazzo». Lezioni di cucito, abiti da realizzare su carta e stoffa, set fotografici per i book delle collezioni. Bellotto e Scicolone continuano a studiare, hanno iniziato uno stage e si preparano a un marchio tutto loro. Il nome c’è già. Si chiama Alita e il copyright è del fidanzato di Cora.

«Cercavamo un nome con una storia particolare, ma eravamo in crisi. Mi ha fatto vedere il manga Alita e ci è piaciuto. Insieme ai responsabili del Mage, stiamo cercando di capire come muoverci per registrarlo e iniziare a vendere i nostri vestiti». La prova generale era stata da urlo, all’inaugurazione del capannone di viale Italia: se le creazioni avessero avuto il cartellino del prezzo, le due stliste avrebbero già esaurito la prima collezione. «Continuavano a frugare tra gli appendini e nella valigia piena di abiti e a chiederci ‘Questo quanto costa?’. Non abbiamo ancora fissato prezzi. Di sicuro non venderemo i vestiti realizzati per la tesi: ci siamo troppo affezionate».

Chi è rimasto folgorato dall’abito a palloncino marrone e nero con le cerniere dorate ai lati — in origine una felpa — o dal cappotto in perfetto stile bon ton, non deve però preoccuparsi: le due stiliste sono pronte a farne altri su richiesta. Dopo tre anni al Mage, la parola d’ordine sarà sperimentare. «Il nostro è un approccio da designer. Il vestito non nasce sul foglio, ma dai materiali che abbiamo a disposizione. Se ho della seta, non potrò mai fare qualcosa di rigido, ma potrò giocare con un collo a sbuffo. Si apre un vestito vecchio e si segue la forma dei pezzi cuciti. O se ne innestano altri. È divertente vedere cosa esce fuori. Un modo di progettare diverso». E anche di acquistare. «È una scommessa. Vogliamo vedere che effetto avrà sulla gente una moda sostenibile fatta di pezzi unici. Non è vintage, non è scambio, è riuso di materiali e capi usati».