Paderno Dugnano, 19 dicembre 2010 - C’è chi sta ancora lottando sul letto di un ospedale. Chi purtroppo non ce l’ha fatta. E c’è anche chi è salvo per miracolo ma porta ancora i segni del rogo e soprattutto le immagini della tragedia, incencellabili. «Non lasciateci soli». È l’appello dei lavoratori della Eureco di via Mazzini, teatro di uno dei più drammatici infortuni sul lavoro dopo il caso Thyssen Krupp.

«Da quel 4 novembre non abbiamo più sentito nessuno — commenta Ferid Meshi, uno dei sette feriti, fortunatamente dimesso poche ore dopo l’incubo, con le mani ustionate nel tentativo di salvare un collega —. Che ne sarà adesso di noi?». Ferid abita con la moglie a Paderno, tre figli a carico, due ragazzi e una piccolina. In casa lavorava solo lui.

I sacrifici per arrivare alla fine del mese non sono mai mancati, ma ce l’ha sempre fatta. «E adesso? Oggi sono finiti i giorni di infortunio — continua —. Non so ancora nulla. La preoccupazione sale. Tra poco è Natale, speriamo che qualcuno ci dica finalmente qualcosa e ci possa dare una mano». Qualche settimana dopo il rogo, insieme al collega Shuli Lulzim era, stato ricevuto dal primo cittadino Marco Alparone. E sono pronti a ritornare. «Non abbiamo mai avuto bisogno di nulla — spiegano —. Ce l’abbiamo sempre fatta da soli. Stiamo meglio, anche se stiamo andando dallo psicologo perché non è per niente facile fare tutti i giorni i conti con quanto è successo. Non riuscivamo a dormire la notte, quante lacrime, è un pensiero fisso».

Il ricordo che brucia ancora e l’incognita del futuro, la speranza di trovare un altro lavoro, lontano da quell’inferno. Mentre le indagini continuano senza sosta e il primo pensiero vola ai compagni ancora in pericolo di vita al Niguarda. «Speriamo in Dio. Devono farcela», ripete Ferid. Le condizioni, a un mese e mezzo di distanza dall’esplosione, sono ancora gravissime. Leonard Shehu e Salvatore Catalano sono in coma farmacologico, sottoposti a continue operazioni. I medici non si sbilanciano. Si spera nel miracolo e si chiede attenzione, per abbattere il muro più doloroso, quello dell’indifferenza: «Non dimenticatevi di noi».