Milano, 6 novembre 2010 - Il cortile è deserto. Nessuna insenga. Nessun campanello. La Tnl non è altro che il portone anonimo di una palazzina di calce bianca, al numero 11 di via Rognoni. La cooperativa della strage conta i suoi feriti. Sono cinque. Tutti albanesi. E albanese è anche Adrian Zekiri, pelle olivastra e cappellino calato sugli occhi, che dice di essere l’amministratore dell’impresa. Una piccola potenza, che in poco più di un anno ha messo insieme quasi 60 lavoratori. Gli italiani si contano sulle dita di una mano. «Sono lo zio di Harun», si presenta il titolare. Harun Zekiri è uno dei feriti di via Mazzini, fra i più gravi: «L’hanno portato a Torino, lo devono operare. Sto tanto male, tanto male».

Ieri mattina alla porta della Tnl si sono presentati i carabinieri. Hanno controllato i contratti di tutti e 60 i lavoratori: «Ma sono in regola, non c’è niente fuori legge qui», dice zio Adrian. Che poi è anche il capo. «Con la Eureco ci siamo sempre trovati bene. Mai un problema. Mai un richiamo». E ricorda che di lavoro, alla Eureco, ce n’era sempre stato tanto e che sì, la crisi s’era sentita, inevitabilmente, ma di operai a casa non ce n’erano rimasti mai. «La Eureco dava il pane a tanti, anche a mio nipote». Giovedì, in azienda, si erano presentati in sette. A casa sono tornati soltanto due. Fra loro, Harun non c’era.