Profughi a Bresso, il presidente della Cri: "Cibo di qualità, ma siamo sempre in emergenza"

La verità di Antonio Arosio sul centro di accoglienza

Il presidente provinciale della Cri Antonio Arosio

Il presidente provinciale della Cri Antonio Arosio

Bresso (Milano), 10 giugno 2015 - Quasi 500 profughi ospitati in 80 «tende ministeriali», dello stesso tipo utilizzate per i soccorsi nelle calamità naturali. Oltre una decina di etnie riunite in un luogo poco più grande di un campo di calcio, dove convivono giovani di quel variegato mondo che va dall’Africa del Nord a quella sub sahariana, dal cuore dell’Africa nera e rurale agli inferni mediorientali spazzati da decenni di guerra. Una babele di culture, religioni e lingue che non permette errori di gestione, né ignoranza. Questo è il centro accoglienza di Bresso, nel quale lunedì mattina si è rischiata la sommossa, per aver servito a pranzo una insalata di riso risultata indigesta a un gruppo di ospiti. Un centro creato dalla Croce Rossa provinciale di Milano su ordine ministeriale per essere un hub in grado di accogliere i profughi una volta sbarcati sulle coste del Sud, e per smistarli dopo averli rifocillati nelle strutture residenziali della Lombardia. Un luogo nel quale ogni giorno lavorano 20 dipendenti e si alternano circa 500 volontari. Il presidente provinciale della Croce Rossa Antonio Arosio cerca di fare chiarezza sull’accaduto.

È stata messa in discussione la qualità dei pasti. Cosa è accaduto davvero?

«La contestazione non ha riguardato la qualità del cibo in assoluto, ma un gruppo di circa 25 persone su 480 ha contestato il gradimento di alcune pietanze. Una cosa comprensibile, se si pensa che a Bresso sono ospitate persone di numerosi Paesi molto diversi tra loro e con abitudini alimentari opposte. Si tenga conto che prepariamo un menu studiato secondo le direttive ministeriali e dell’Onu, proprio per cercare di tenere un equilibrio che consenta a tutti di trovare pietanze più gradite».

Qualcuno degli ospiti ha parlato di cibi scaduti...

«Lo escludo. Abbiamo una cucina che prepara più di 1.200 pasti al giorno con quantità di derrate enormi e acquistate sul mercato come farebbe qualsiasi mensa. Nessun prodotto è frutto di donazioni. Inoltre, i controlli sono costanti e serrati».

Dunque i pasti sono solo una parte del problema?

«In realtà sì. È evidente che in un campo di questo tipo sono molte le esigenze che vengono dai gruppi. Potrà apparire superfluo, ma una delle richieste più forti è quella per avere una linea Wifi libera. Per loro è fondamentale per rimanere in contatto con i parenti all’estero. Le schede telefoniche previste per convenzione non sono sufficienti. Non siamo in grado di offrire Wifi free nel campo, ma abbiamo allestito 12 postazioni con pc collegati 24 ore su 24».

Quali sono le criticità che riscontrate nel quotidiano?

«Sono innanzittutto logistiche. Il nostro è un centro di smistamento, dove i profughi dovrebbero rimanere per tempi ristretti. Invece il flusso costante spesso li costringe a fermarsi per un mese o più, dormendo in tende che vanno riscaldate in inverno e condizionate in estate. Lo sforzo per dare loro confort è costante. Ma siamo una macchina che lavora 365 giorni l’anno, senza possibilità di sosta per le manutenzioni e ogni miglioramento deve essere fatto in corsa».