Quei ristoranti che non gradiscono i bambini a tavola

Ho letto sul suo giornale di un lettore che, su questa stessa rubrica, lamentava la difficoltà di viaggiare verso i luoghi delle vacanze con animali domestici al seguito

Milano, 30 luglio 2016 - Ho letto sul suo giornale di un lettore che, su questa stessa rubrica, lamentava la difficoltà di viaggiare verso i luoghi delle vacanze con animali domestici al seguito. Segnalo che aumentano anche alberghi e ristoranti «child free», cioè che non accettano bambini. Basta controllare su Internet. Sono scandalizzato. Ormai si mettono paletti su tutto e tutti? Fra poco torneremo alle leggi razziali? Lucia B., Mantova 

Non credo proprio che torneremo alle leggi razziali e non interpreto un ristorante che si classifica solo per adulti come un passo in questa direzione. Parliamo semplicemente di quella che gli esperti chiamano segmentazione di marketing, cioè volontà di soddisfare esigenze di particolari categorie anche se di nicchia. Facciamo un esempio: due persone che pranzano insieme per discutere di affari non vogliono essere disturbati da un bambino che piange. E, viceversa, il bambino ha il diritto di essere stanco e di fare i capricci. Separarli mi pare una buona idea a vantaggio anche delle famiglie che in posti organizzati trovano spazio per il passeggino, servizi igienici con fasciatoio, scaldabiberon e aree con giocattoli e libri per i più piccoli. In Germania, Svizzera e nei Paesi scandinavi è facile trovare ristoranti, autogrill o semplici negozi dotati di tavolino, seggioline, fogli e matite per i bambini. Auspico ulteriore specializzazione al servizio di persone anziane, diversamente abili o non vendenti. Senza alcuna idea di segregazione. sandro.neri@ilgiorno.net