Matteo Torretta, da Rho a Top Chef Italia: "I cuochi? Le nuove rockstar"

Un rapida ascesa nel mondo della cucina di alto livello, il giovane executive chef si racconta a cuore aperto

Matto Torretta, 37 anni

Matto Torretta, 37 anni

Rho (Milano), 25 settembre 2016 - È l'executive chef del ristorante "Asola cucina sartoriale", al nono piano del The Brian&Berry Building in via Durini a Milano. È  arrivato così in alto dopo una carriera impeccabile alla corte di Gualtiero Marchesi, Carlo Cracco, Antonio Cannavacciuolo, Enrico Crippa. Nato e cresciuto a Rho, 37 anni, Matteo Torretta è protagonista da due settimane del talent show culinario "Top Chef Italia". Racconta: "Quando sono stato contattato dalla produzione la prima reazione è stata ovviamente di stupore e di felicità al tempo stesso. Ero anche un po’ intimorito, perché per essere ammesso avrei comunque dovuto sostenere una selezione. Quando mi hanno confermato che avrei partecipato alla prima edizione italiana di questo programma di grande successo, tanta gioia".

Cosa le  sta insegnando questa esperienza televisiva?  "Sicuramente  lo  spirito di gruppo e sta aumentando la mia competitività, il mio desiderio di fare bene e di dare il meglio di me".  

 Cosa ne pensa  degli chef sempre in Tv  e dell’interesse per la cucina da parte dei media?  "Gli chef sono ormai diventati le nuove rockstar. È un momento storico per noi molto importante, che sta dando tanta visibilità alla professione del cuoco. Del resto l’attenzione al cibo di qualità e la passione per la buona cucina fanno parte della nostra tradizione e della nostra cultura e per questo ritengo giusto e corretto che un mezzo di grande comunicazione come la televisione dedichi spazio a tutto questo. I cuochi ne sono inevitabilmente protagonisti". 

 Dopo una carriera veloce e di successo,  arriva all’ultimo piano del Brian & Barry Building di piazza San Babila: che tipo di cucina è la sua?  "Amo definire la mia cucina riconoscibile, eclettica e orientata alla valorizzazione dei prodotti di tutto il mondo. Per questo posso dire che è anche molto internazionale. Mi piace giocare con gli ingredienti, sperimentare abbinamenti e accostamenti, ma sempre rispettando i sapori, per far sì che il piatto resti comunque ‘pulito’, riconoscibile appunto. Non mi piace ricorrere a effetti speciali, preferisco stupire con il gusto. Non seguo le mode, ma le mie ispirazioni, che traggo anche dall’esperienza quotidiana".  

È  vero che ha sempre sognato di fare il cuoco?   "Sì, fin da bambino, quando vedevo mia nonna cucinare in casa. Non saprei, e non vorrei, fare altro. La cucina è la mia vita". 

È  cresciuto a Rho, torna  ancora nella sua città?   "Purtroppo non spesso come vorrei. Ma non perché rinneghi le mie radici, gli impegni sono davvero tanti e quindi ci torno molto poco, solo il tempo per andare a trovare mamma e famiglia".  

 A soli 27 anni è stato scelto per rilanciare il Savini. Cosa ricorda di quell’esperienza?  "È stata sicuramente una delle esperienze più difficili, se non la più difficile in assoluto, della mia vita. Ero molto giovane e mi sono trovato a dover gestire uno dei locali storici di Milano, un’icona oserei dire della ristorazione a Milano. Quindi tanta responsabilità e tanta paura. Ma sono arrivate anche la notorietà e tante soddisfazioni: posso dire, senza falsa modestia, di aver fatto parlare di cucina gourmet al Savini". 

Progetti per il futuro? "La mia ambizione è mirare sempre più in alto e fare sempre meglio. Come quasi tutti gli chef, il sogno è quello di aprire un ristorante che sia mio. E, non lo nascondo, mi piacerebbe tantissimo continuare a fare televisione, mi diverte troppo".