Invalida lei, disoccupato lui: sfrattati e con un debito di migliaia di euro

Giunta a Lainate nel 2009, la coppia aveva beneficiato di un progetto di reinserimento sociale poi fallito. Ora, su decisione del Tribunale di Milano, devono lasciare la casa, accollarsi le spese processuali e versare gli affitti non pagati più gli interessi: "Dovranno buttarci fuori con la forza" di Monica Guerci

Graziella Boggi e Giacomo Pittar (Studionord)

Graziella Boggi e Giacomo Pittar (Studionord)

Lainate, 24 febbraio 2015 - "Non usciremo da questa casa, dovranno buttarci fuori con la forza". Sono le parole disperate di una coppia che rischia di restare senza un tetto. Ci sono storie difficili alle spalle di Graziella Boggi, 60 anni, invalida all’80%, e di Giacomo Pittar, 40, disoccupato, trasferiti da Sant’Angelo, nel Lodigiano, a Lainate dopo aver vissuto per mesi in un box trasformato in abitazione.

Parcheggiati senza via di soluzione da una situazione all’altra sempre secondo rimedi pensati all’occorrenza dai servizi sociali, dalle istituzioni, dalle Amministrazioni comunali di turno che via via si sono rimpallate il "caso difficile". L’ultimo approdo per loro, nel 2009, è a Lainate, accolti in un appartamento nella centralissima viale Rimembranze nell’ambito di un progetto di reinserimento socialeMa il sogno si è presto scontrato con la cronica mancanza di fondi, e dopo solo due anni i Comuni di competenza hanno chiuso i rubinetti. Reinserimento fallito, progetto concluso.

Ma il colpo di grazia per la coppia è arrivato nei giorni scorsi. Dovranno lasciare l’appartamento che "occupano senza titolo" da circa tre anni, accollarsi le spese processuali e versare gli affitti non pagati con interessi di mora. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano nella battaglia legale che ha visto i due in guerra con "La Cordata", la cooperativa sociale che a Lainate seguiva il loro percorso. "Non siamo entrati in questa casa occupandola, siamo arrivati qui nell’ambito del progetto che si è chiuso non per colpa nostra", lamentano i due, che chiedono "un buco dove stare, un posto di lavoro". Tanti, troppi traslochi "per una vita così fragile come la mia, attaccata alla medicine, e la speranza a un certo punto ti finisce sotto i tacchi. Non sono nata con la camicia, ho sempre dovuto lottare per vivere e ora non voglio finire in una casa di cura, a 60 anni rivoglio la mia dignità", conclude Graziella.

monica.guerci@ilgiorno.net