Investita e uccisa da un’auto. In Appello per la terza volta

Processo infinito sull’incidente avvenuto il 31 ottobre 2008, quando Alessandro Mega, oggi 37 anni, si mise al volante dopo aver assunto un mix di cocktail e tranquillanti. Invase la corsia opposta finendo contro l'auto di Roberta Caracci che morì nell'incidente di Roberta Rampini

L’automobilista che ha travolto a Bollate la 24enne era al volante senza patente e sotto l’effetto di cannabis e tranquillanti

L’automobilista che ha travolto a Bollate la 24enne era al volante senza patente e sotto l’effetto di cannabis e tranquillanti

Arese, 27 febbraio 2015 - La Corte di Cassazione ha rinviato per la terza volta davanti alla Corte d’Assise d’Appello il processo per la morte di Roberta Caracci, 24enne di Arese. La ragazza fu travolta e uccisa la sera del 31 ottobre 2008 in via Ferraris a Bollate da Alessandro Mega, oggi 37enne, che stava guidando senza patente (gli era stata ritirata), dopo aver assunto un cocktail di cannabis e tranquillanti. Non era nelle condizioni di mettersi al volante, come riconosciuto anche dalla Corte d’Appello, e così aveva invaso la corsia opposta piombando addosso all’auto di Roberta.

L’uomo, accusato di omicidio colposo con l’aggravante della previsione dell’evento, è stato condannato dalla Corte d’Appello di Milano a 5 anni e 6 mesi in virtù dello sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato scelto dall’imputato. La Cassazione ha accolto il ricorso dell’avvocato di Mega e deciso che il processo debba tornare ai giudici d’Appello. «Attendiamo che vengano depositate le motivazioni - dichiarano gli avvocati Guido Simonetti e Simone Zancati, legali della famiglia Caracci -, ma intanto siamo arrivati al sesto grado di giudizio e andremo per la terza volta davanti ai giudici della Corte d’Assise d’Appello. Un fatto davvero insolito. L’impressione che ci siamo fatti è che avendo i giudici d’Appello condannato Mega a una pena severa, cinque anni e sei mesi per un omicidio colposo sono tanti nel nostro Paese e probabilmente non ci sono precedenti nella giurisprudenza, la Cassazione accogliendo il ricorso del suo avvocato esiga uno sforzo di motivazione o forse chieda di abbassare la pena. Ma sono supposizioni. Sapremo solo leggendo le motivazioni cosa vuole la Cassazione».

Una decisione «eccezionale» da un punto di vista giudiziario, ma anche l’ennesima doccia fredda per i familiari di Roberta, mamma Rosa e papà Giuseppe, che dopo sei anni e mezzo da quella tragica morte non hanno ancora avuto giustizia. «È una ferita che non si chiuderà - commenta il papà di Roberta con un nodo alla gola -, ogni volta che torniamo in aula riprende a sanguinare, per noi è un dolore atroce. Eppure chiediamo solo che la persona che ha causato la morte di nostra figlia paghi il suo debito con la giustizia, invece è libero e probabilmente non ha neanche capito di aver rovinato la vita a una famiglia».roberta.rampini@ilgiorno.net