Prigioniero in Mauritania, una voce dall’inferno: "Italia e Europa mi riportino a casa"

Parla al telefono Cristian Provvisionato, il bodyguard di Cornaredo recluso in Africa da un anno

Cristian Provvisionato, com’era prima di partire per l’Africa

Cristian Provvisionato, com’era prima di partire per l’Africa

Milano, 10 agosto 2016 - È un uomo rimasto troppo a lungo da solo con il proprio dramma. Da Nouakchott, capitale della Mauritania, dove è recluso da un anno, Cristian Provvisionato, 43 anni, bodyguard di Cornaredo parla al cellulare, concessogli pochi giorni fa. Il governo locale si ritiene truffato per un milione e mezzo di euro da società straniere che dovevano fornirgli sistemi di spionaggio. Ma Cristian, inviato lì per sostituire un italiano, di informatica non sa nulla. Difatti viene trattenuto come figura di garanzia, in attesa di una soluzione.

Cristian, anzitutto come sta?

«Abbastanza bene, seppure con qualche problema fisico (Cristian è diabetico, Ndr), dermatiti, guai ai denti... Per il resto me la cavo. Anche se dal punto di vista mentale lo stress è logorante. Un anno e non so di che morte morire».

Il giudice che l’ha interrogata dopo dieci mesi si era preso già parecchio tempo per decidere. Ora è addirittura in ferie per un mese e mezzo. Lei attendeva una risposta urgente sull’istanza di libertà...

«Sì, questa notizia mi ha buttato ulteriormente giù di morale. Mi era stato promesso che si sarebbe cercato di risolvere la questione nel minor tempo possibile. Purtroppo non sembra così».

Un anno di detenzione in Mauritania e almeno nove mesi senza un’accusa e senza vedere una corte giudicante. Cosa si aspetta ora su un fronte diplomatico?

«Anzitutto vorrei fare un appello, l’ennesimo allo Stato italiano, perché cerchi di risolvere il prima possibile la situazione. Tutti sanno benissimo, sia da una parte sia dall’altra, che io sono innocente. Sono stato ingannato, ci sono le prove. Chi sia davvero colpevole lo giudicheranno la magistratura, mauritana e italiana. Non vorrei però che si pensasse che siccome non sono in una prigione, ma in un posto di polizia, per me sia come essere a casa. Non lo è».

Anche perché lei ha una vita privata. Si stava per costruire una famiglia. Ha una fidanzata con la quale doveva sposarsi poco dopo il suo ritorno, l’autunno scorso. E tutto è stato congelato...

«Assolutamente. Hanno rovinato la mia vita, quella della mia compagna e della mia famiglia. Oltre alle enormi spese sostenute per pagare gli avvocati qui e in Italia, ai viaggi e a tutto il resto».

In sintesi. A Ferragosto 2015 lei viene mandato in Mauritania per sostituire una persona. Quindici giorni dopo, l’arresto. L’ipotesi, anche se non formalizzata subito, è di spionaggio informatico.

«Ripeto, io non sono informatico, ho fatto un corso per diventare protection officer (addetto alla sicurezza, Ndr), questo è tutto».

Dietro la sua detenzione c’è un affare tra il governo mauritano e una serie di società. Lei è collegato solo a una, milanese (che non sappiamo naturalmente se sia coinvolta o meno) che l’ha semplicemente inviato sul posto. Lei ha l’impressione che gli stessi mauritani, almeno da come la trattino, la considerino innocente?

«È così. Ma me l’hanno anche detto, sinceramente. Loro sanno molto bene che io sono innocente».

Quindi c’è solo bisogno di una persona da trattenere, fino a quando qualcuno non ripianerà il buco da un milione e mezzo di euro? La sintesi è un po’ brutale, ma regge?

«Eh, diciamo che potrebbe suonare così. Io sono convinto che tutti i soggetti in campo sappiano ormai molto bene che io non c’entro niente con la truffa, la mia sola certezza è questa».

Lei ha scritto pochi giorni fa anche a Federica Mogherini, alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Solo l’ultimo degli appelli che si sono susseguiti.

«Sì, in Italia in Parlamento, in Regione Lombardia, in Comune a Cornaredo. Dal Movimento Cinque Stelle, alla Lega, al Pd, la mobilitazione è trasversale, per sollecitare chi può fare qualcosa. Vorrei ringraziare davvero tutti. Ho scritto al Governo Europeo, essendo un cittadino dell’Unione, perché spero la questione assurga ai più alti livelli e venga sbloccata. Mi sembra che tutto sia fermo».

Diciamo che il giudice dovrà comunque pronunciarsi, per la sua libertà o per il rinvio a giudizio. Che però, visto da qui, senza elementi di accusa, appare improbabile.

«Assolutamente. La mia speranza è che comunque la magistratura si attivi appena possibile e decida per la mia liberazione. È un caso di giustizia».

Non si senta solo. La stampa ha ormai cominciato a seguirla.

«Ringrazio davvero tutti di cuore. Non vedo l’ora che la storia arrivi alla fine. Una storia paradossale in cui l’unico soggetto innocente è quello agli arresti da un anno».

Come sono i rapporti umani con chi si ritrova attorno?

«Buoni. Sono sempre stato trattato bene dalla polizia. Purtroppo loro parlano arabo e francese, io inglese, quindi il dialogo è ai minimi. Ma vengo trattato umanamente. Per il diabete ho medicine adeguate. Ma un anno di detenzione, lontano da casa, da innocente, logorerebbe chiunque».

Ci auguriamo di vederla presto insieme alla sua famiglia, in Lombardia. Noi continueremo a pungolare le autorità e la diplomazia.

«Ancora un grande grazie».