Londra premia il talento di Viola Gurioli: "Io, architetto e cervello in fuga da Rho"

La trentenne ha vinto ex equo il rpestigioso concorso internazionale 'Lamborghini road monument'. In Inghilterra ha un impiego adeguato al suo talento e alle aspirazioni

Viola Alice Gurioli

Viola Alice Gurioli

Rho (Milano), 4 dicembre 2016 - Trent'anni, architetto, nata e cresciuta a Rho, Viola Alice Gurioli è il vincitore ex equo del prestigioso concorso internazionale di architettura «Lamborghini road monument». Oggetto: progettare due monumenti da posizionare su due distinte rotonde situate davanti alla fabbrica di auto sportive Lamborghini e allo storico Museo. Viola Guiroli ha disegnato il monumento insieme ad un altro giovane architetto lombardo, Davide Pontoni. Tenace, competente, entusiasta, Viola dopo una laurea a pieni voti al Politecnico di Milano si è trasferita a Londra dove lavora in un prestigioso studio di architettura.

Perché ha lasciato l’Italia?

«Quello che avevo più amato dei miei studi era l’ambiente internazionale in cui si erano svolti, prima l’Erasmus con il liceo linguistico Falcone e Borsellino di Arese, poi il Master internazionale al Politecnico, aperto agli studenti stranieri, con esami e lezioni in inglese. È stato naturale voler continuare ad essere a stretto contatto con persone di diverse nazionalità cercando di fare qualche esperienza all’estero».

Il nostro Paese non offriva niente?

«Nel 2012 la situazione in Italia non sembrava molto promettente per una neolaureata come me: tirocinii non pagati e in generale un modo molto gerarchico di lavorare, dove i capi si mettono spesso su un piedistallo e i giovani vengono sfruttati, più che valorizzati e formati».

Come mai proprio Londra?

«La scelta di Londra è stata principalmente legata alla quantità e qualità di offerta del lavoro, oltre al fatto che si tratta di una città estremamente dinamica, cosmopolita e multiculturale, dove nascono le avanguardie e si è un passo avanti rispetto al resto dell’ Europa. Dopo un tirocinio di alcuni mesi ho iniziato a lavorare presso Drmm Architects, uno studio pluripremiato e di fama internazionale che promuove l’architettura sostenibile e l’utilizzo del legno. Al momento sto lavorando su una proposta per un grande progetto di residenza mista commerciale-lavorativa nella ex zona olimpica».

E’ stata la tua prima esperienza all’estero?

«No, ho iniziato a viaggiare mentre frequentavo l’ultimo anno di università. Insieme a due amici ho realizzato un progetto futuristico di architettura su acqua, per creare connessioni e programmi fluttuanti tra il Mar Baltico ed il Mar Nero. Il progetto si trasformò anche in un vero e proprio viaggio studio che ci portò tra Polonia, Bielorussia, Ucraina e Turchia, col supporto delle qambasciate italiane».

Per l’Italia sei un ‘cervello in fuga’: sei d’accordo con questa definizione?

«Se definiamo cervello in fuga qualcuno di altamente qualificato che lascia il proprio Paese d’origine per fare carriera altrove, allora sì, rientro sicuramente nella categoria. Oggi andare all’estero non è solo una questione di pura e semplice curiosità, ma sempre più spesso per necessità, per assenza di alternative di vita all’altezza delle nostre aspirazioni. Il fatto che l’Italia accolga pochissimi cervelli in fuga è un dato allarmante, perché una grandissima fetta di giovani qualificati, determinati e soprattutto sognatori se ne vanno ogni anno all’estero, senza venire sostituiti. Il problema è che è sempre più difficile tornare a casa, senza dover rinunciare al tipo di ruolo e qualità del lavoro alla quale ci si era abituati all’estero».

Però non dimentichi l’Italia e la tua città.

«Verissimo. Appena posso torno il weekend a casa dai miei famigliari e amici. L’idea mia e di Davide di partecipare al concorso per il monumento alla Lamborghini è nata proprio da una serie di riflessioni su come possiamo costruire un nostro futuro rientro in Italia. Perché non ci aspettiamo che questo possa accadere dall’oggi al domani, senza pianificazione. La voglia di tornare prima o poi sicuramente c’è, però non siamo disposti a sacrificare la qualità del modo di lavorare che abbiamo all’estero».