Rho, 9 settembre 2013 - Via dei Gelsi è una strada chiusa. All’inizio, su un lato,  c’è il liceo scientifico dove di ragazze non ancora maggiorenni ne girano a centinaia ogni giorno. Dall’altro una scuola elementare e vicino la materna. Gli orti comunali e in fondo l’unica abitazione, al civico tre. Cinquanta famiglie in due edifici in edilizia convenzionata costruiti dieci anni fa. Nella prima palazzina al secondo piano c’è la casa di Andrea Pizzocolo, l’assassino di Lavinia Simona Ailoaiei, 18 anni compiuti a luglio. 

«Non posso parlare, sono con la bambina, non posso»,  piange la persona che risponde al citofono dove l’unico nome che si legge è quello dell’omicida. Accento straniero, forse dell’Est. Fra i singhiozzi è difficile capire.  «Un vero can can. Da qui le ragazze andavano e venivano, mai le stesse, romene, brasiliane, russe, di tutti i colori. Sempre giovanissime e mai le stesse», racconta una vicina di casa dell’uomo, l’unica che ha voglia di parlare. Gli altri tacciono. 

«Questa mattina la finestra era aperta, adesso è chiusa e fuori è rimasto lo stendino con quattro stracci appesi», prosegue la donna. Lui? Un tipo schivo, taciturno: «Solo un saluto, quando lo incrociavi, mai una parola di più». 

Alla finestra della cucina aveva messo una tenda nera che rendeva impossibile guardare dentro. E poi c’era quello scroscio continuo, dell’acqua della doccia che scorre va e disturbava le notti dei vicini. «Con lui non si lamentava nessuno, ma tutti ci domandavamo che cosa facesse», continua la donna. La compagna di lui, una ragazza per bene, una brasiliana «diversa dalle altre, stava sempre a pulire casa», due anni fa se n’è andata con la bambina, che oggi ha cinque anni, nata dalla convivenza dei due.

Da casa Pizzocolo, ragioniere di 41 anni, andava e veniva a orari impossibili. Alla gente che gli domandava della figlia rispondeva che era andata in Puglia «al mare a vivere con i nonni». I suoi genitori ad Arese sono passati forse solo una volta. Pizzocolo ad Arese viveva da alcuni anni, ma nessuno in città lo conosce. 

di Monica Guerci
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