Arese, 27 settembre 2012 - Condanna confermata. Beneficio della condizionale incluso. Anche i giudici della prima sezione della Corte d’Appello di Milano hanno ritenuto don Marco Redaelli, prete salesiano di Arese ormai ottantenne, responsabile di violenza sessuale ai danni di una bambina che all’epoca dei fatti aveva sette anni. Martedì pomeriggio nel processo d’appello è stata confermata la condanna a due anni e mezzo di carcere per il religioso. L’arriga di due ore dell’avvocato Mario Zanchetti, legale del sacerdote che negli ultimi anni si è occupato di una quindicina di casi di religiosi accusati di pedofilia, non ha convinto i giudici dell’innocenza del sacerdote.

Contro la sentenza, che è in linea con le richieste del procuratore generale Daniela Meliota, non è escluso che il difensore del sacerdote faccia ricorso anche in Cassazione. I fatti risalgono al 24 settembre 2007, quando don Marco aveva attirato la piccola nel proprio ufficio nella parrocchia dei santi Pietro e Paolo, con la promessa di darle delle caramelle. Rimasto solo con lei, l’avrebbe molestata, costringendola a subire atti sessuali, «non particolarmente invasivi».

La bimba aveva raccontato quanto successo alla nonna, che ne aveva a sua volta parlato al padre, facendo scattare la denuncia. «È stata fatta giustizia - commenta Giacomo C., padre della bambina che oggi ha 12 anni - anche se abbiamo dovuto assistere ancora una volta a una vergognosa arringa dell’avvocato difensore, che anziché smontare l’impianto accusatorio, basato soprattutto sulle testimonianze di mia figlia, ha cercato di screditare la mia figura, dicendo che mi ero inventato tutto per estorcere denaro».

A convincere i giudici della colpevolezza del sacerdote sono state le dichiarazioni della bambina fatte in sede di incidente probatorio e ritenute credibili da periti e psicologi. La bambina aveva raccontato che «don Marco era sempre stato bravo con lei, ma quel giorno aveva fatto una cosa brutta». Lui, in primo grado, in lacrime aveva negato le accuse. Di fatto, don Marco non finirà in carcere, ma il collegio lo ha trasferito altrove, interdetto dagli uffici di tutela e curatela e gli ha posto il divieto di assumere incarichi nelle scuole e in altre strutture frequentate da minori. 

di Roberta Rampini