di Roberta Rampini

Arese, 3 maggio 2012 — Le conosce quasi a memoria, le motivazioni dei giudici della prima Corte d’Assise d’Appello di Milano che spiegano la condanna a 14 anni di carcere per omicidio volontario di Alessandro Mega, 31 anni, l’uomo che travolse e uccise sua figlia Roberta, di soli 24 anni. «Ci sono arrivate qualche giorno fa, non è stato facile leggere quelle pagine, ma siamo soddisfatti sia per la sentenza sia per quello che i giudici hanno scritto», spiega Giuseppe Caracci di Arese. Quella sera del 31 ottobre 2008, Mega guidava senza patente, perchè gli era stata ritirata, e dopo aver assunto un cocktail di cannabis e tranquillanti.

«Non poteva mettersi in macchina, aveva già combinato guai prima e per questo gli avevano ritirato la patente: in quelle condizioni nessuno è in grado di guidare, eppure lo ha fatto - spiega papà Giuseppe -. È una sentenza davvero esemplare, anche le motivazioni riportano quello che realmente è accaduto. Spero sia la prima di una lunga serie. Ovviamente siamo contenti anche se niente ci restituirà la nostra Roberta». Quella sera sua figlia stava rientrando a casa dopo una festa con amici. Era sola in auto. L’incidente stradale in via Ferraris a Ospiate di Bollate, a poche centinaia di metri da casa. Un attimo. Non ha potuto fare niente per evitare lo scontro frontale.

Da quel giorno la vita di papà Giuseppe e mamma Rosa è cambiata: «Ogni fase del processo e ora anche la lettura delle motivazioni riaprono una ferita che non si chiuderà mai. Roberta ha lasciato un vuoto difficile da colmare, anche se in questi anni i suoi amici non ci hanno mai lasciati da soli». Poi ricorda il primo febbraio, quando nell’aula del Tribunale di Milano la Corte d’Assise, presieduta da Maria Luisa Dameno, ribaltando a sorpresa la sentenza di primo grado dell’11 dicembre 2009, i giudici hanno condannato Alessandro Mega a 14 anni di reclusione.

«C’era anche mio figlio Danilo, fratello di Roberta, io ho applaudito, non si poteva e sono stato sgridato», aggiunge con un nodo alla gola. Ora ha un solo desidero: «Quell’uomo deve restare fino all’ultimo giorno in carcere, non deve avere sconti, deve essere messo nelle condizioni di non fare altre cose gravi - conclude papà Giuseppe -. Non è vero che ci ha risarcito dei danni, l’unico risarcimento è arrivato dalla sua assicurazione, lui certamente non ha tirato fuori un soldo».