Amianto all'ex Alfa di Arese, un solo processo non basta

Il pm ha chiesto una proroga d’indagine

Un presidio di ex operai e sindacalisti

Un presidio di ex operai e sindacalisti

Arese (Milano), 13 novembre 2015 - Un processo bis per i morti di amianto all’Alfa Romeo di Arese potrebbe aprirsi nei prossimi mesi in Tribunale a Milano. Il Pm Maurizio Ascione, lo stesso del processo attualmente in corso presso la nona sezione penale, ha chiesto una proroga del termine delle indagini preliminari perché sta indagando su altri operai morti per aver respirato fibre d’amianto negli anni in cui lavoravano nello stabilimento automobilistico aresino. Il processo bis sarebbe di più ampia portata rispetto a quello aperto un anno fa contro Paolo Cantarella, amministratore delegato di Fiat Auto tra il 1991 e il 1996 e altri sei ex manager accusati di omicidio colposo plurimo per il decesso di 15 operai dell’Alfa Romeo. Secondo alcune indiscrezioni, nel fascicolo delle indagini preliminari sarebbero documentate le morti di «alcune decine di operai» per mesotelioma pleurico.

Tra loro anche il caso di Alfonso Rossi, 71 anni, ex operaio dell’Alfa Romeo, morto in settembre a Milano. L’ex tuta blu aveva lavorato in forgiatura e in fonderia, prima al Portello e poi ad Arese. Qualche mese prima di morire, quando ormai la malattia era in una fase avanzata, aveva presentato una denuncia penale. Intanto ieri mattina davanti al giudice Paola Maria Braggion si è svolta una nuova udienza del processo iniziato il 5 novembre 2014. In aula ha parlato un perito nominato dal pm Ascione che ha ricostruito tutti i passaggi nella gestione dello stabilimento Alfa Romeo dal 1962 al 1992 al fine di individuare chi fossero i responsabili di quello che accadeva in fabbrica.

Poi la parola è passata a due periti nominati dalle parti civili, Edoardo Bai, medico del lavoro e Roberto Garrara, ingegnere chimico specializzato in consulenze per la Procura. «In fabbrica c’erano tantissime fonti d’amianto», hanno confermato entrambi i periti: nei processi di fonderia, nel cartone che veniva usato per la preparazione dei pannelli para-calore applicati sulla carrozzeria delle auto, nelle guarnizioni, in un prodotto che si usava per lo stampaggio delle lamiere. Ma la fibra killer usciva anche dallo stabilimento, «gli operai portavano a casa le tute che indossavano in fabbrica per il lavaggio e questo esponeva anche i loro famigliari alle polveri d’amianto». Anche gli operai che non erano a contatto diretto con l’amianto, «lavoravano otto ore al giorno in un’ambiente dove c’era contaminazione d’amianto e in capannoni con tetti in amianto».

A fronte di una presenza così elevata di amianto nelle lavorazioni e nell’ambiente, secondo il pm i vertici della Fiat non avrebbe adottato misure adeguate a tutela della salute di migliaia di operai. L’amianto finiva nei polmoni dei lavoratori, molti dei quali sono morti: quindici quelli per cui si è aperto il processo in corso, probabilmente un centinaio quelli di un eventuale processo bis.