Troppi infermieri aggrediti: è emergenza sicurezza nei pronto soccorso lombardi

Il pronto soccorso, specie in certe ore e in certi quartieri, diventa una trincea. E la sicurezza di chi ci lavora (e di chi è curato) non può essere scaricata come un problema di ordine pubblico dalla Regione che gestisce la sanità lombarda di Giulia Bonezzi

Paura  tra gli operatori  dell’emergenza

Paura tra gli operatori dell’emergenza

Milano, 30 ottobre 2014 - Il pronto soccorso, specie in certe ore e in certi quartieri, diventa una trincea. E la sicurezza di chi ci lavora (e di chi è curato) non può essere scaricata come un problema di ordine pubblico dalla Regione che gestisce la sanità lombarda. È la richiesta portata ieri alla commissione competente del Pirellone dai sindacalisti dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, ascoltati su richiesta del 5 Stelle Dario Violi che ha passato una notte nel pronto soccorso di prima linea, stretto tra Quarto Oggiaro e il sito Expo. Richiesta di misure concrete: urgenti lì - i soldi per garantire la guardia giurata non armata di notte, sottolinea Mina Savoia, segretario provinciale della Fials -, e strutturali in tutta la Lombardia, perché «il problema non è solo al Sacco», sottolinea Giovanni Muttillo, presidente del Collegio Ipasvi Milano-Lodi. Al quale le segnalazioni di infermieri aggrediti, minacciati, costretti a lavorare nella paura arrivano da reparti emergenza-urgenza di tutto il territorio, e «sono in aumento. Serve un tavolo permanente, con la Regione e le forze dell’ordine, per trovare soluzioni e monitorare un fenomeno ampiamente sottostimato». Ad esempio diffondendo la scheda unica per segnalare gli “eventi avversi”, «adottata oggi da non più del 10% delle strutture».

Al Sacco è stata introdotta lo scorso dicembre: uno degli interventi concordati tra sindacati e azienda dopo «l’evento» di fine luglio 2013, quando un paziente ubriaco mise fuori gioco tre operatori (rompendo la mano a un infermiere, prognosi di due mesi). Li elenca Ezio Goggi, il direttore sanitario ascoltato in sostituzione del dg Pasquale Cannatelli; e non è piaciuta l’assenza alla Rsu che martedì ha proclamato lo stato d’agitazione, ma sul piatto ieri non c’era la contrapposizione vertici-sindacati. Piuttosto il racconto di come l’ospedale ha tentato, coi suoi mezzi, di fronteggiare il pericolo rappresentato da pazienti e parenti intemperanti al pronto soccorso: il pulsante d’allarme, il badge per entrare nell’area emergenza, il controllo all’apertura della porta tra sala d’attesa e triage («Che però al momento è rotto», sottolineano i lavoratori), le ronde dell’unica guardia (che sta all’ingresso, a 200 metri, e sorveglia anche le telecamere), i corsi di gestione dello stress e autodifesa e addirittura i fischietti per chiedere aiuto, distribuiti ai 42 infermieri che ci lavorano, insieme a 10 ausiliari e 11 medici tra cui un infettivologo presente 24 ore su 24. Un pronto soccorso da 52 mila accessi l’anno, il 65,5% codici verdi e il 21,4% bianchi: «Gravato, come tutti, da un alto tasso di richieste che hanno poco di urgente», traduce il ds Goggi. E più di altri da una logistica vetusta, che sarà in parte corretta dalla ristrutturazione in partenza con 5 milioni di finanziamento Expo: sei mesi di disagi e in più i pazienti dirottati dal Salvini di Garbagnate, pure in cantiere. Almeno, sul fronte sicurezza, si sposterà il posto di polizia in sala d’attesa.

Il guaio è che spesso è vuoto. Perché il Sacco, sulla carta, avrebbe tre agenti di polizia locale in servizio dalle 7 alle 24 nei giorni feriali, mezza giornata il sabato. E avrebbe anche il posto di polizia di Stato, 5 agenti sulla carta, «in servizio non continuativo per problemi d’organico», spiega Goggi che è andato a parlare del problema col questore. Di fatto, spiegano i sindacati, il presidio delle divise «resta sguarnito, soprattutto d’estate, la notte e la domenica, quando il picco di casi sotto l’effetto di droga e alcol aumenta il rischio di aggressioni. Infatti gli agenti assenti non vengono sostituiti». «Ma noi, se manca un infermiere, ci organizziamo per rimpiazzarlo - sottolinea Massimiliano Sabatino, vicepresidente della Federazione dei tecnici radiologi -. La sicurezza di lavoratori e pazienti non è un optional: va gestita senza costringerci a imparare il taekwondo». Molti consiglieri sono d’accordo, dall’azzurro Fabio Altitonante alla democratica Sara Valmaggi: «La Regione può e deve fare di più».

giulia.bonezzi@ilgiorno.net