Centrodestra, corsa alla leadership. Decidono le elezioni, non le primarie

I contrasti sui programmi sembrano superati. Ma resta un’incognita

Berlusconi tra la Meloni e Salvini

Berlusconi tra la Meloni e Salvini

Milano, 8 settembre 2017 - «Eppur si muove» vale anche per il centrodestra italiano. La Lega di Salvini è diventata tre, quattro volte più grossa di quella di Bossi. Tuttavia, paradosso nel paradosso, al Sud dove voleva espandersi resta insignificante, invece continua a crescere al Nord. Salvini ha approfittato della crescente insofferenza verso il lassismo della sinistra sull’immigrazione, del vento populista che ha soffiato in tutta Europa fino a oggi (o ieri?), delle incertezze, delle divisioni e della lunga afasia di Forza Italia. Più modesta ma tutt’altro che trascurabile è anche la performance di Fratelli d’Italia. Secondo i sondaggi ha il doppio dei voti non solo di Alfano, ma anche degli scissionisti di Bersani e D’Alema. Se Musumeci vincesse in Sicilia, la Meloni avrebbe un suo esponente al vertice e il centrodestra arrotonderebbe a quattro le regioni in cui governa consolidando i successi dell’ultima tornata amministrativa. Anche Forza Italia è in ripresa e nessuno sa dove potrà arrivare. Forza Italia è Berlusconi e Berlusconi dal 2011 ha vissuto un lungo calvario. Dimessosi (ed era la seconda volta dopo il ‘94) dalla guida del governo a causa del tradimento di Fini, il dissidio con Tremonti e la tempesta dello spread, Berlusconi ha dovuto bere fino in fondo l’amaro calice. Il passaggio del potere effettivo a Napolitano che nomina primo ministro Mario Monti avviene nel contesto di un attacco giudiziario e mediatico senza precedenti, che prende di mira le abitudini sessuali del presidente del Consiglio. Dall'accusa più infamante – la corruzione minorile – Berlusconi verrà poi assolto, ma la procura ha talento nel moltiplicare i processi. Nondimeno alle elezioni del 2013 il Pdl ottiene ancora il 21,5 per cento, sette milioni di voti a fronte degli otto conquistati dal Pd. Grazie al Porcellum col suo abnorme premio di maggioranza la modesta differenza si trasforma, alla Camera, in una strabordante maggioranza di seggi per il Pd, che perciò sarà arbitro dei governi futuri e dell’elezione del nuovo capo dello Stato. Ma i guai per Berlusconi non sono finiti. Condannato dalla Cassazione perché non poteva non sapere della frode fiscale perpetrata dagli amministratori di Mediaset (peraltro assolti) Berlusconi incappa nella legge Severino e nell’applicazione retroattiva della norma sulla decadenza. Prima ancora che la sentenza vada in esecuzione Letta e Renzi, ancora concordi, esigono il voto. Il Senato vota e lo caccia. Le difficoltà aumentano quando sorge l’astro di Renzi. Silvio non può far a meno di apprezzare il rottamatore che cambia pelle al Pd, ma si apre un fossato con l’altro Matteo che grida all’inciucio e strizza l’occhio ai grillini. In fondo, sull’immigrazione, sull’euro e su Trump parlano la stessa lingua.  Scontata con grazia la pena del ravvedimento in un ospizio per anziani, Berlusconi riprende una moderata attività politica ma deve sottoporsi a una delicata operazione al cuore. Quando i guai peggiori sembrano finiti la stella di Renzi già inclina al tramonto. Con un Pd che scivola dal 41 per cento delle Europee al 26/27 per cento delle Amministrative, tramonta anche l’ipotesi di una futura maggioranza Renzi/Berlusconi. A questo punto il riavvicinamento tra Berlusconi e Salvini diventa inevitabile. La questione della leadership – pomo della discordia – la risolveranno non le primarie ma le elezioni vere e proporzionali. Dunque, il partito più votato del centrodestra indicherà il candidato premier. E se Renzi si ostinasse ad assegnare il premio di maggioranza non alla coalizione ma alla lista di partito che supera il 40 per cento, la nomenklatura dei tre partiti ha pronta la contromisura: un unico listone. Dunque, tutto a posto? No, né Berlusconi né Salvini gradiscono il listone, punto e a capo. Sembrano invece superati i contrasti sul programma e in particolare sull’euro e sull’Europa. Come? Facile, sull’Europa ormai tutti i partiti italiani cantano in coro lo stesso ritornello: «Bisogna ridiscutere i trattati». Non uno però che dica per far che cosa e come convincere le altre venticinque nazioni a seguirci!