Alberto Stasi: parlo con Chiara sulla sua tomba. Ora chi sa esca allo scoperto

Alberto condannato a sedici anni per l'omicidio di Chiara Poggi: "Cerco la felicità ma vivo nel dolore" di Gabriele Moroni Le tappe della vicenda

Alberto Stasi

Alberto Stasi

Garlasco (Pavia), 26 febbraio 2015 - Pare ancora più esile, più fragile, ha qualcosa di ingrigito mentre entra nello studio dell’avvocato Giuseppe Colli, suo difensore (insieme con il professor Angelo Giarda e l’avvocato Fabio Giarda) e soprattutto amico in questi anni di passione. Alberto Stasi parla per la prima volta dopo la sentenza con cui, il 17 dicembre dello scorso anno, la prima Corte d’Assise d’appello di Milano lo ha condannato a 16 anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, il 17 agosto del 2007 a Garlasco. Condannato dopo essere stato assolto per due volte, l’ex «biondino di Garlasco» parla e lancia i suoi appelli: a «chi eventualmente sa qualcosa», ai genitori di Chiara, nella speranza di «incontrarli un giorno senza ‘impormi’ sul loro dolore». E poi Chiara, le visite alla sua tomba. Alberto Stasi, sono passati più di due mesi dal verdetto di condanna.

Qual è il suo stato d’animo?

«La sentenza per me è stata una cosa inaspettata e terribile. Il verdetto mi ha veramente travolto e ci è voluto tempo per riprendere coraggio. In passato, dopo l’assoluzione, pensavo che sarei stato bene, che sarei tornato com’ero prima, allegro, spensierato, portandomi, ovviamente, sempre nel cuore il pensiero di Chiara. Più che altro cercavo di convincermi che stavo bene, che sarebbe stata questione di tempo e che la tristezza sarebbe passata. Ma non passava. I mesi scivolavano via e io ero sempre spaventato, esausto. Adesso è ancora peggio».

Com’è oggi la sua vita?

La mia vita non è facile. Affronto tutto giorno per giorno, perché sarebbe troppo opprimente per me anche solo pensare a ciò che potrei dover ingiustamente affrontare. Ora aspetto le motivazio- ni della sentenza. È un momento in cui è difficile trovare la concentrazione necessaria per fare qualsiasi cosa. In pratica, sopravvivo in attesa di capire cosa potrà succedere. In un certo senso, però, mi ritengo fortunato. Io e la mia famiglia abbiamo tante persone vicine che ci sostengono e ho fiducia che si potrà porre fine a certe speculazioni e teorie insensate, portando la pace a coloro che hanno sofferto».

Come vede il suo futuro?

«Già in passato mi era molto difficile pensare anche solo al presente, oggi lo è ancora di più, figuriamoci avere aspettative per il futuro. Cercare di guardare la vita con positività è il primo passo per migliorarla. Vorrei poter star bene in salute e avere la possibilità di fare chiarezza nella mia vita e trovare la mia strada, riuscendo in qualche modo a voltare pagina. Quando ho perso Chiara avevo appena compiuto 24 anni. Ora ne ho quasi 32 e non passa giorno in cui io non abbia questa tragedia nei miei pensieri. So che è difficile, ma a volte vorrei che gli altri si mettessero al mio posto e potessero anche solo immaginare quello che sto passando. Non lo auguro a nessuno, davvero. Nonostante questo non mi fermerò, continuerò a lottare per la verità, con la speranza che ci si attenga alle regole che ci sono, perché per legge un innocente ha il diritto di essere tutelato».

C’è qualcuno che dopo la condanna le ha voltato le spalle, le ha fatto mancare la sua amicizia?

«No, anzi l'esatto opposto.  Ho ritrovato la vicinanza di persone che con il passare del tempo avevo perso di vista. Ognuno ha la propria vita, i propri problemi, le proprie esigenze e spesso la vita porta un po' ad allontanarsi, a seguire strade diverse. Ma devo dire che nel momento del bisogno ho trovato tutta la solidarietà di cui avevo necessità, un calore ancora maggiore di quello che ho ricevuto dopo le due sentenze di assoluzione. Ricevo anche molte lettere di persone da tutta Italia, persone sconosciute che non ho mai visto e che magari sono anche loro afflitte. Alcuni mi mandano anche libri e poesie veramente belle e commoventi. Mi sento di ringraziarli, perché anche queste piccole cose mi danno la forza per andare avanti».

Si sentirebbe di contattare i genitori di Chiara?

«Non ci sono ancora riuscito. All’inizio di tutto eravamo molto vicini. Adesso c’è questo abisso di dolore che ci separa, che è cresciuto durante questi lunghi anni di processi. Decine di volte ho pensato di avvicinarli e mi piace pensare che lo stesso abbiano pensato loro. Non l’ho fatto perché ho paura che loro la considerino una strategia legale o mediatica. Non voglio che pensino questo di me. Non ho ancora avuto la forza di piangere, di metabolizzare la perdita di Chiara, ma spero tanto di incontrarli nuovamente, un giorno, senza impormi sul loro dolore. Probabilmente adesso è troppo presto: continuano a pensare che io sia colpevole ed è una cosa che mi fa un male enorme».

Chiara, oggi.

«Mi piace ricordarla nei nostri momenti felici. Era dotata di grande energia, che metteva quotidianamente a disposizione di tutti. Il suo sorriso e la sua allegria erano contagiosi. Quell'immagine resta, aveva il dono della gioia, era straordinaria. Vado spesso a trovarla al cimitero. Le parlo, vado a trovarla come si fa con una persona alla quale si vuole molto bene, ma che non è più qui. Faccio lo stesso con mio padre».

Il giorno di Natale è stato un anno dalla scomparsa di suo padre.

«Sì ... la sua mancanza è un vuoto incolmabile. Ricordo quel giorno come fosse ieri, esattamente come è successo con Chiara. Ho avuto, però, modo di vedere  quante persone erano presenti ai funerali, quanti gli hanno voluto bene e continuano a volerne a me e mia mamma. Nel contempo ho nutrito tristezza e rabbia quando, dopo averlo accompagnato al cimitero, ci siamo trovati di fronte a qualche sciocco interessato solo a scattare fotografie da rivendere a qualche giornaletto. Non era certo questo il tipo di commemorazione che mio papà avrebbe voluto. A casa mancano molto i suoi consigli, ma soprattutto i suoi abbracci, quelli calorosi, avvolgenti e protettivi. Era un papà straordinario. Gli voglio un bene enorme. E' rimasto questo, l'affetto, ed è importante, perché la forza di affrontare certe cose le trovo pensando a lui e a tutto quello che farebbe per me se fosse ancora qui».

E sua mamma?

«Mia mamma  è una donna molto fragile, che mio padre ha sempre tenuto protetta durante questa brutta vicenda, ma che si è sacrificata tante volte per il mio bene. Adesso che non c'è più mio padre, abbiamo bisogno l'uno dell'altra, e spesso non è facile per me sostenerla e darle forza, ma non credo che ci possa essere per me una madre migliore».

Ogni volta che appare in pubblico o snocciola qualche rara dichiarazione, sono in molti a chiedersi come fa, dove trova la forza. Cosa la sostiene ora?

«La fede e la consapevolezza di essere innocente. La fede è la più grande risorsa interiore che possediamo, solo che non la comprendiamo fintanto che non ne abbiamo veramente bisogno».

A renderla "personaggio" suo malgrado è proprio la sua riservatezza oggi così inconsueta.

«E' vero, ho sempre cercato di evitare le apparizioni in pubblico e gli interventi in prima persona su stampa e tv, sono contrario alla spettacolarizzazione di fatti gravi come quelli accaduti. Forse c'è che preferisce uno sfogo pubblico per cercare dei consensi e mettere al riparo le proprie coscienze dai propri dubbi. Io invece ho sempre seguito un percorso di fiducia senza sentire il bisogno di apparire. Posso assicurarvi che quando si è in pace con la propria coscienza non si sente troppo il bisogno di apparire per farsi dire da altri di avere ragione. C'è chi comprende e chi invece pensa che sia 'strano' rifugiarsi in sé rifiutando pubbliche esternazioni o tutti i riflettori dell'Italia mediatica di oggi. Penso che sia troppo facile giudicare non vivendo la situazione che io sto vivendo da quasi otto anni».

In una intervista Francesco Caringella, ex magistrato di Milano, alla domanda su cosa pensasse dei processi mediatici, ha risposto: «Il peggio possibile. Non immagina quanto possano condizionare un magistrato che si trova a decidere su un fatto già giudicato mille volte in tv da colleghi togati, giornalisti, esperti vari. L’animo umano ha la tendenza a uniformarsi e una sentenza già scritta dai media è dannosissima».

«La penso come lui. Il fatto che molti altri si pongano la stessa domanda e diano la stessa risposta dovrebbe far riflettere anche coloro che certi quesiti non se li pongono, non avendo mai avuto modo di vivere certe esperienze. In ogni caso, sono ancora fiducioso nella giustizia e sono convinto che ci siano ancora persone competenti, capaci di non farsi influenzare dal tritacarne mediatico, di valutare in modo corretto le carte del processo, che provano, oggettivamente, la mia innocenza».

Alberto Stasi, cosa vorrebbe aggiungere?

«Vorrei appellarmi a chi eventualmente sa qualcosa. Chiedo a chiunque sappia qualcosa di mettersi una mano sulla coscienza e di uscire allo scoperto». 

di Gabriele Moroni