Omicidio di Garlasco: «Scoprì la sua passione per i porno». I giudici: così Stasi ha ucciso Chiara

Le motivazioni dell’appello bis che ha condannato Stasi a 16 anni: «Era pericolosa e l’ha eliminata. Dopo averla massacrata Alberto si è messo al pc» di Gabriele Moroni

Alberto Stasi (Newpress)

Alberto Stasi (Newpress)

Garlasco (Pavia), 17 marzo 2015 -  «Alberto Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata che, evidentemente, era diventata per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo ‘per bene’ e ‘studente modello’, da tutti concordemente apprezzato». In 140 pagine la presidente Barbara Bellerio motiva la sentenza con cui, lo scorso 17 dicembre, la prima Corte d’assise d’appello di Milano ha condannato a 16 anni Alberto Stasi per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Era il 13 agosto 2007, nella villetta della ragazza a Garlasco. La condanna chiesta dal sostituto procuratore generale Laura Barbaini era stata di 30 anni, con l’aggravante (che la sentenza non ha riconosciuto) della crudeltà. L’unica vittima è «Chiara Poggi, uccisa a 25 anni dall’uomo di cui si fidava e a cui voleva bene, che l’ha fatta definitivamente ‘scomparire’ in fondo alle scale». Era «del tutto inerme», «era così tranquilla, aveva così fiducia nel visitatore da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza alcuna fatica, oltre che senza alcuna pietà». I giudici rispondono così a Stasi che, prima della camera di Consiglio, si era rivolto alla Corte parlando di «accanimento» nei propri confronti. Le motivazioni stigmatizzano la figura di Stasi, da subito padrone di sé, capace di deviare indagini contrassegnate da «molte criticità di alcuni degli accertamenti svolti, riconducibili a errori e negligenze anche gravi». «Dopo avere commesso il delitto l’imputato è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione e fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto. La condotta da lui tenuta non è stata per nulla collaborativa, ma al contrario fuorviante e finalizzata ad allontanare i sospetti dalla sua persona: ha da subito sviato le indagini, ipotizzando un incidente domestico e ha progressivamente messo a disposizione degli inquirenti ciò che, nel tempo, assumeva via via qualche interesse investigativo. Non tutto però e in tal modo ha rallentato gli accertamenti a proprio vantaggio, anche grazie agli utili errori commessi dagli stessi inquirenti».

Lo ha fatto in molte occasioni, «personalmente e non solo». Nuovi elementi e nuove perizie (che hanno corretto le precedenti) hanno portato alla condanna. Le scarpe di Stasi (calza anche il 42, come le impronte insanguinate lasciate dall’assassino) non potevano non sporcarsi di sangue attraversando la scena del delitto. Decisiva la perizia sul tappetino della sua Golf. I risultati escludono «che tale passaggio possa essere avvenuto senza il trasferimento di sangue sulle scarpe prima e sul tappetino dell’auto poi (la positività al Luminol è stata indicata permanere anche a distanza di molti giorni)».

Sui pedali della bici da uomo Umberto Dei di Stasi è stata ritrovato un «notevole quantitativo di Dna della vittima». Quei pedali sono un elemento «dissonante», sono «del tutto diversi» da quelli di serie, come se fossero stati apposti in seguito. La mattina del delitto una vicina nota una bici nera da donna accanto alla casa dei Poggi. Anche la famiglia Stasi ne possiede una, di cui Alberto ha sottaciuto l’esistenza. Sul dispenser del sapone liquido nel bagno dei Poggi (l’assassino si è lavato le mani) sono rimaste due impronte dell’anulare destro del fidanzato di Chiara.

Il movente dell’omicidio rimane «oscuro». Spiegazioni da offrire o da richiedere. Invece scatta l’aggressione. «Sicuramente Stasi deteneva nel suo pc migliaia di immagini pornografiche, tutte da lui classificate («ossessivamente», secondo il pg) in cartelle diverse». È emerso che tutti i giorni Stasi, «prima di applicarsi sulla tesi, visionava immagini porno». Abitudini che – i giudici ipotizzano che Chiara sia venuta a conoscenza di questa passione – «avrebbero potuto suscitare domande o provocare discussioni, anche in una fidanzata di ‘larghe vedute’». Rita Poggi, madre di Chiara, è forte come sempre: «È un altro importante passo avanti, dopo più di sette anni. Dobbiamo andare avanti, continuare per lei. Per Chiara». «La sentenza – dice Giusepe Colli, uno dei difensori – interpreta in modo parziale e discutibile gli elementi acquisiti in questo processo, trascurando quelli precedenti, tutti favorevoli ad Alberto Stasi».