Dorno, le ammazza la madre ma si pente: "Ora voglio scrivere alla bambina"

Emanuela Preceruti, 44 anni, è stata uccisa l'estate scorsa nel Pavese. In cella l’uomo sta pensando di scrivere una lettera alla figlia della vittima, presente la sera dell’assassinio, ferita di striscio ma sopravvissuta

Roberto Garini fuori dalla caserma

Roberto Garini fuori dalla caserma

Dorno (Pavia), 5 aprile 2017 - «È molto tormentato. Non si dà pace per quanto ha fatto, per la sua stessa violenza». Il difensore di Roberto Garini, 51 anni, descrive così lo stato d’animo del suo assistito, in carcere per l’omicidio della compagna Emanuela Preceruti, 44 anni, uccisa l’estate scorsa a Dorno, nel Pavese. In cella l’uomo sta pensando di scrivere una lettera alla figlia della vittima, la ragazza presente la sera dell’assassinio, ferita di striscio ma sopravvissuta. Nel giugno scorso Garini, ex operatore socio sanitario, aveva crivellato con dieci colpi di pistola la donna.

Aveva raggiunto l’abitazione dove la vittima abitava con la figlia dodicenne, poi le aveva inseguite fino al piano superiore della palazzina per compiere il massacro nel bagno, dove le due avevano cercato riparo. La ragazzina era riuscita a salvarsi fingendosi morta. Ed era fuggita saltando dal balcone. Ferita e sotto choc aveva dovuto trascorrere un periodo in ospedale. Ora per Garini, accusato di omicidio, si avvierà l’iter giudiziario: il 20 aprile è fissata l’udienza preliminare davanti al gup di Pavia. L’uomo potrebbe chiedere di essere processato con rito abbreviato, che consente di ottenere lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna.

La Procura nella sua richiesta di rinvio a giudizio ha contestato l’aggravante dei futili motivi. Di opposta opinione la difesa: «Riteniamo abbia agito per effetto dello stress accumulato per la relazione». Subito dopo il delitto Garini aveva chiamato le forze dell’ordine, spiegando cos’aveva fatto. I carabinieri lo avevano trovato abbracciato al cadavere e lo avevano arrestato. Fin dal primo momento aveva detto di non capacitarsi di quello che aveva fatto affermando: «Ho ucciso la persona che amavo». «Tuttora si tormenta ed è sotto choc, a distanza di mesi - spiega il difensore del cinquantunenne -. Ha il desiderio di scrivere alla famiglia della vittima, di avere contatti con la ragazza. Non l’ha ancora fatto, ci sta pensando». I familiari della vittima potrebbero costituirsi parti civili nel corso dell’udienza preliminare.