A Pavia il processo Fibronit, sentenze depositate: "Negligenza senza scuse"

In 571 pagine la tragedia della ditta di amianto di Broni

Un’immagine del sito Fibronit

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Pavia, 9 settembre 2017 - "Cardinale e Mo hanno voltato lo sguardo altrove per non vedere una situazione produttiva assolutamente disastrosa". La tragedia della ditta di amianto Fibronit di Broni è raccontata in 571 pagine. Nel faldone, i giudici del Collegio del Tribunale di Pavia hanno motivato le sentenze di condanna emesse a febbraio nei confronti di Michele Cardinale, 74 anni, ex amministratore delegato della ditta, e di Lorenzo Mo, 70 anni, ex direttore dello stabilimento bronese, a processo con l’accusa di omicidio colposo per i tanti morti a causa dell’esposizione all’asbesto. Rispettivamente, le pene comminate ai due manager sono di quattro anni e tre anni e quattro mesi

I giudici hanno depositato le motivazioni ad agosto. A lungo spiegano i risultati delle tante perizie disposte in fase di indagini e durante il processo, spiegando come le fibre dell’amianto se inalate provocano il terribile mesotelioma pleurico, cancro sviluppato da molti lavoratori dello stabilimento e dai loro familiari, ma anche da persone che abitavano in prossimità della fabbrica. Duecentocinquanta erano le parti civili al processo, in relazione agli imputati alla sentenza sono state contestate ventisette morti. I giudici ricordano nelle motivazioni come il rapporto tra malattie polmonari e amianto fosse noto sin dal 1964. In fabbrica "fino al 1975 i vari tipi di asbesto giungevano presso lo stabilimento in sacchi di iuta che venivano scaricati e aperti col coltello a mano dagli operai", si legge nelle carte, un’operazione che "causava una forte dispersione di fibre".

Per quanto riguarda Cardinale e Mo, i giudici scrivono che "È vero che durante i loro mandati veniva introdotto finalmente un impianto di captazione delle polveri, ma è nondimeno innegabile che sia questo presidio che altri macchinari e impianti presenti presso lo stabilimento andavano incontro a continue rotture. Nessuno dei due ha inteso porre rimedio a questo andazzo, neppure quando le cause dei guasti ricorrevano con frequenza bisettimanale". Inoltre, "l’aver ritenuto poi che le maestranze potessero essere adeguatamente protette dal rischio espositivo con delle semplici mascherine di carta, use peraltro a lesionarsi e squarciarsi dopo poche ore di utilizzo, è indice di una trascuratezza e di una negligenza davvero inscusabile". Inizialmente, all’apertura dell’udienza preliminare nel 2012, erano dieci gli ex manager coinvolti. Due di loro, Claudio Dal Pozzo e Giovanni Boccini, 77 anni entrambi, sono stati condannati in primo grado con rito abbreviato a quattro anni di reclusione, ma poi a ottobre 2016 sono stati assolti in Appello. Per cinque di loro la posizione è stata stralciata per sopraggiunta morte o condizioni di salute tali per cui era evidente l’incapacità di prendere parte al processo. Un altro imputato è stato assolto a febbraio, nella stessa udienza in cui Cardinale e Mo sono stati condannati.