"Studiosi, atletici e amici di tutti". Le mamme difendono i baby bulli

A giudizio per aver brutalizzato un coetaneo: "Mio figlio traviato da altri"

INCHIESTA Lla banda ripresa nei video girati dagli inquirenti

INCHIESTA Lla banda ripresa nei video girati dagli inquirenti

Mortara (Pavia), 17 novembre 2017 -  «Mio figlio è grande e grosso, ma questo non vuole dire che sia un violento e che fosse il capo. È uno che se gli fai ‘ps’ scappa». Le mamme dei cinque di Mortara attendono. I figli in comunità dopo un soggiorno che tutti (tranne uno) hanno trascorso al Beccaria di Milano. L’11 gennaio li vedranno a giudizio davanti a un gup del tribunale dei minorenni.

Ragazzini che oggi hanno fra i 15 e i 16 anni, accusati di avere angariato un loro coetaneo, denudato, sospeso a testa in giù da un ponticello in campagna, brutalizzato con una pigna e la scena fissata con uno smartphone, costretto a ubriacarsi di birra e portato in giro legato a una catena. La vittima ha indicato lui, il ragazzo di origini moldave, l’ex amico, come il capobranco. Il leader del gruppo? La madre lo difende, parla di amicizie che hanno contaminato il suo ragazzo, di un ambiente che nel frattempo non è cambiato. «Guardi, ancora adesso ci sono ragazzi in età scolastica che sembrano allo stato brado. Ci siamo rivolti alla scuola. Abbiamo chiesto diverse volte che i vigili facessero di più. Quelli del giro li vedo sempre, con le birre in mano. I genitori non lo sanno o non se ne occupano».

«Mio figlio andava bene a scuola, ottimi risultati, aveva fatto due anni in uno, non è da tutti. È uno sportivo. Con lui avevo un buon rapporto, si confidava. Ha fatto amicizia con questa gente. Non mi piacevano le sue amicizie. Da quando usciva con loro avevo visto che il rendimento a scuola era sceso. Anche lui aveva capito che come amici non andavano bene. Capitava che quando suonavano mi dicesse di rispondere che non era in casa. Mi sono sentita dire di tutto, al citofono e al telefono». «Partiva dal fatto che mio figlio faticava a fare amicizia con ragazzi italiani. Era diventato amico di un ragazzo di colore, lo difendeva quando gli facevano il verso della scimmia. Difendeva anche quel ragazzo (la giovane vittima - ndr) perché tutti lo prendevano in giro. Mi chiedeva i soldi per andare a prendere la pizza con lui. Era qui ancora pochi giorni prima, seduto sul gradino dell’ingresso. Non evitava mio figlio, al contrario. Non aveva paura. Anzi, abbiamo fatto delle denunce perché era stato aggredito». Due mamme rispondono con il silenzio, dalla porta di casa.

Un'altra ha appena terminato il turno di lavoro. «Per il momento voglio stare nel mio. Avverrà quello che deve avvenire. Mio figlio sta bene, è in comunità. Gli manca la casa, è normale. È capitato. È una cosa molto brutta quella che gli è successa. Non voglio accusare nessuno, non voglio dare la colpa a nessuno. Bisogna guardare bene a cosa è accaduto, a cosa è stato fatto. Mio figlio era amico di tutti, anche di quel ragazzo, la vittima per capirci. Io i ragazzi che frequentava non li conoscevo bene, siamo qui da poco. Per me erano tutti ragazzi tranquilli. Non posso dire nulla. Stiamo arrivando alla fine. Magari, dopo, parlerò».