Garlasco, 1 novembre 2013 - «Per noi non è cambiato niente. La verità è negli atti. La direzione è una sola». La voce di Rita Poggi è quella gentile di sempre. Dietro, una volontà ferrea, un convincimento incrollabile: sua figlia Chiara è stata uccisa da Alberto Stasi, il fidanzato, nella sua casa di Garlasco il 13 agosto 2007. «Aspetto di leggere le motivazioni. Siamo felici che la Cassazione accolto le richieste che abbiamo presentato attraverso il nostro legale. Speriamo che il nuovo processo ci dica la verità per nostra figlia. Verità e giustizia per Chiara».

La Suprema Corte ha annullato l’assoluzione di Stasi. Si andrà davanti a una nuova sezione della Corte d’Assise d’appello di Milano, diversa da quella che il 6 dicembre 2011 mandò assolto l’ex bocconiano. La difesa attende. «Speriamo - dice l’avvocato Giuseppe Colli - che non si arrivi a un processo inquisitorio. Questo processo nasce con il rito abbreviato e quindi strutturato sulle carte. Da parte nostra non abbiamo alcun tipo di timore. Quello che è stato fatto finora è stato fatto bene. Se si vogliono approfondire certi aspetti tecnici, si provveda. Noi daremo tutta la nostra collaborazione».

Secondo gli ermellini della prima sezione, è mancata una «valutazione complessiva e unitaria degli elementi acquisiti». Sono due quelli che portano al fidanzato di Chiara. La sua impronta su dispenser del sapone liquido nel bagno di casa Poggi. La presenza del dna della ragazza sulla pedaliera della bicicletta da uomo di Alberto. Su questo profilo biologico non erano stati disposti esami più approfonditi, una volta constatato che non era di provenienza ematica.

E ancora la bicicletta da donna in uso alla famiglia Stasi, «corrispondente alla macro descrizione» della bicicletta nera da donna scorta davanti alla villetta dei Poggi, la mattina dell’omicidio, da Franca Bermani, madre di una vicina. La Bermani notò anche che le tapparelle di Chiara erano ancora abbassate. Il corto capello insanguinato che la vittima stringeva nel palmo della mano sinistra.
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