Voghera, 20 luglio 2013 - Si commuove Silvio Mingrino, presidente dell’Associazione vittime amianto nazionale italiana, uscendo dal tribunale di Voghera dopo la sentenza. Anche se gli ex amministratori della Fibronit non faranno un solo giorno di carcere, abbiamo avuto giustizia — commenta —. Mi piacerebbe ora che gli imputati andassero ad assistere i malati». Ieri sono stati condannati a quattro anni di reclusione a testa Giovanni Boccini e Claudio Dal Pozzo, 74enni, ex dirigenti della ditta Fibronit che a Broni realizzava prodotti in amianto. I due avevano scelto di essere giudicati con rito abbreviato, a differenza di altri otto ex colleghi e oggi co-imputati che andranno a dibattimento. Le accuse erano di omicidio colposo, disastro doloso e omissione di cautele antinfortunistiche. I due sono stati assolti per quest’ultimo reato, il disastro è stato derubricato a colposo e alcuni omicidi sono caduti in prescrizione. 

Ma Dal Pozzo e Boccini dovranno pagare provvisionali per un totale di oltre un milione di euro a 95 parenti di vittime e malati che si sono costituiti parti civili. Associazioni ed enti pubblici che si sono costituiti in giudizio contro gli imputati saranno invece risarciti in sede separata. I due ex amministratori sono stati assolti per l’omissione delle cautele, in quanto il giudice ha riconosciuto loro ruoli marginali. «Penseremo se ricorrere in appello per quanto riguarda questo reato», ha commentato il pubblico ministero Valentina Grosso, che con Giovanni Benelli ha rappresentato l’accusa.

Fuori dall’aula, mentre il giudice era in camera di consiglio per decidere la sentenza, Dal Pozzo ha parlato con il parente di una vittima: «Io potevo solo sollevare il problema, io lo dicevo che l’amianto fa male. Purtroppo, allora non ho potuto fare nient’altro». L’udienza ieri, è cominciata alle 9,30. La sentenza è arrivata intorno alle 15,30. Di mattina, Mingrino insieme a un gruppo di parti civili (in tutto se ne sono costituite ben 250) ha manifestato davanti al tribunale di Voghera. C’erano persone che seguono il processo sin dall’apertura dell’udienza preliminare, il 16 aprile 2012, e che ieri hanno pianto e si sono abbracciate. «Io sono malato d’asbestosi — racconta Luigino Andreoli —. Ho lavorato nella Fibronit dal 1958 al 1992. Sono felice di questa sentenza, abbiamo avuto giustizia».

Soddisfatta anche Maria Grazia Valdata: «È un inizio, sono commossa. Non dobbiamo demordere ma andare avanti, per il dibattimento. Io ho perso mia cugina, abitava a Casteggio». A Ivana Montagna, invece, il “killer silenzioso” ha portato via l’amato marito: «È mancato a 50 anni. Ora i due condannati dovrebbero assistere i malati, vedere cosa significa passare due anni di agonia, la fame d’aria di chi ha il mesotelioma». E il mesotelioma si è portato via anche il padre di Vera Brandolini: «Tosse, male al fianco. Papà aveva lavorato in fabbrica — commenta, commossa —. Sono abbastanza soddisfatta della sentenza, però spero che nel dibattimento sarà dato peso anche alle responsabilità di alcune istituzioni».