Pavia, 9 giugno 2013 - Non una volontà di delocalizzare portando lo stabilimento dove il costo del lavoro è più basso come per esempio a Singapore, quanto una strategia globale per alzare i livelli produttivi. Ci sarebbe questa idea alla base della decisione di Merck di chiudere l’azienda di via Emilia e lasciare l’Italia. Dopo la fusione tra Msd e Schering-Plough avvenuta nel 2009, i siti sono triplicati passando da 30 a 90. Parallelamente il gruppo farmaceutico ha iniziato un processo di consolidamento del network produttivo, che finora ha ridotto a 72 gli stabilimenti. Indipendentemente dalla presenza sul mercato e dall’efficienza. In via Emilia, però, si produce un unico prodotto.

«Detiene il monopolio mondiale della produzione del farmaco antidiabetico Januvia — ha detto la consigliera regionale del Movimento 5 stelle, Iolanda Nanni —, lo esporta in decine e decine di Paesi nel mondo e, a detta degli stessi dirigenti, rappresenta uno dei gioielli del network Merck». «Il sistema sanitario nazionale non acquisti più i suoi prodotti — è la proposta del sindacalista del settore sanità, Marco Grignani —. In Francia è stato fatto, e la fabbrica non ha chiuso».

«Ma stanno facendo scorte: i 270 dipendenti lavorano in triplo turno e in doppio al sabato — commenta un ex lavoratore di via Emilia —. E Merck ha già adottato la stessa strategia con lo stabilimento Gentili a Pisa, il centro di ricerca Irbm di Pomezia, lo stabilimento di Neopharmed, e per ultimo lo stabilimento di Comazzo. Pagano profumatamente gli operai che lasciano a casa e a molti sta bene così». Le istituzioni pavesi che domani sera affronteranno il problema in un Consiglio comunale aperto (che potrebbe tenersi nell’aula magna del collegio Ghislieri), però intendono combattere tutte compatte per salvare il sito produttivo. «Il Governo deve intervenire convocando immediatamente i vertici della multinazionale, che hanno l’autorità di revocare la decisione — ha aggiunto il senatore M5S, Luis Alberto Orellana —. Se la società non dovesse recedere dalla decisione presa, bisognerà esplorare ogni scenario utile a preservare la produzione e i posti di lavoro. Anche studiando la possibilità di nazionalizzare un impianto produttivo di cui Pavia non può fare a meno».

manuela.marziani@ilgiorno.net