Broni, 7 ottobre 2012 - Numeri da paura, quelli emersi ieri, a Broni, nel convegno “La Lombardia senza amianto” promosso dal gruppo Pd in Consiglio regionale. Il killer rappresentato dall’asbestosi, che può colpire anche a distanza di 40 anni e non lascia scampo (non è curabile), solo a Broni e dintorni ha già provocato - come ha sottolineato Costanza Pace, esponente dell’Aiea, associazione italiana emergenza amianto - non meno di 2mila morti. E non è finita perchè il picco potrebbe esserci fra il 2015 ed il 2020.

L’amministrazione provinciale di Pavia ha censito circa 450mila metri cubi di amianto da smaltire: «Un terzo — ha evidenziato l’assessore provinciale, Martina Draghi — è a Broni». L’emergenza è in atto da 20 anni e proprio nel 1992 questo materiale è stato dichiarato fuori legge, «ma — ha fatto sapere Edoardo Bai, esperto di Legambiente — cercando tra i vari siti Internet, si scopre che è ancora possibile acquistare manufatti contenenti amianto dalla Cina. Inoltre, in Italia ci sono ancora aperte e operative un centinaio di cave, tra cui una in Lombardia, in Valmalenco».

Tenendo conto della proporzione vittime dell’amianto/popolazione, il caso di Broni supera nettamente il triste primato di Casale Monferrato. Il rischio non si ferma dentro i cancelli delle fabbriche (Cementifera e poi Fibronit) dove si lavorava a stretto contatto con l’amianto e dove, particolare raccapricciante, è stato ricordato che alcuni ex dirigenti della fabbrica, inghiottivano fibre di amianto per dimostrare che non erano pericolose. Qui c’è lo stop e la bonifica che attende di essere effettuata. Ma nessuno sa, con precisione, quanto altro amianto sia in circolazione, nei tetti, nei muri o anche sotto terra, in case e non solo (anche scuole).

Ed arriva un altro allarme sempre da Legambiente: «Sono in aumento — ha detto Edoardo Bai — i casi di ammalati anche fra chi si sta occupando della bonifica dell’amianto. Operai e tecnici che dovrebbero aver usato tutte le precauzioni possibili». E, nonostante tutto, continuano a mancare strutture ospedaliere specializzate.

di Pierangela Ravizza