Milano, 22 gennaio 2012 - "Un vero e proprio tentativo di ricatto nei confronti di Coop Lombardia". Ipotizzano questo le indagini difensive svolte dai legali di Daniele Ferrè, vicepresidente della stessa Coop Lombardia e indagato nell’inchiesta del pm di Milano Francesca Celle su un presunto spionaggio dei dipendenti del punto vendita di Vigevano.

Al centro dell’inchiesta, chiusa qualche mese fa in vista della richiesta di rinvio a giudizio anche di Massimo Carnevali, l’allora capo della sicurezza del supermercato della cittadina (chiuso nella primavera 2006), e di Alberto Rancarani, titolare di una società di tecnologie investigative, ci sono le registrazioni ‘illegali’ delle telefonate fatte, per una ventina di giorni, nel maggio 2004, dai dipendenti.

Le accuse contestate ai tre sono "interferenza illecita nella vita privata" e "cognizione illecita di conversazioni telefoniche". Per la vicenda rischiano anche il processo un cronista e il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, per aver pubblicato, due anni fa, le conversazioni. Ma le indagini difensive, svolte dagli avvocati Tomaso Pisapia e Giacomo Lunghini, che chiedono l’archiviazione per Ferrè, offrono una ricostruzione ben diversa da quella della Procura.

Per il pm Celle, Carnevali, otto anni fa avrebbe studiato, per conto di Coop Lombardia, un piano per registrare la chiamate dei dipendenti in entrata e in uscita. Il progetto, affidato per la parte tecnica a Rancarani (che nel 2009 emise a Coop una fattura mai saldata) e di cui anni dopo sarebbe stato portato a conoscenza anche Ferrè, prevedeva il ‘controllo’ di una cinquantina di punti vendita.

Sebbene non divenne del tutto operativo per gli inquirenti, il piano avrebbe permesso per meno di un mese alla dirigenza Coop di ascoltare le telefonate.

I legali di Ferrè, invece, nella memoria depositata di recente al pm, anche in base a una serie di testimonianze e alla rilettura degli atti, adombrano una storia di ricatti che sarebbe stata architettata, a loro avviso, da Fabio Quarta e Gianluca Migliorati, titolari (non indagati) di una piccola azienda che operava nel Varesotto, che riuscirono ad ottenere, grazie a Carnevali, "una serie di servizi di sicurezza per tutto il territorio di Coop Lombardia".

Quando l’azienda cooperativa tagliò i contratti per contenere le spese, i due, hanno evidenziato gli avvocati, che avevano anche manifestato "forte risentimento e acredine" nei confronti del loro cliente, "hanno architettato e studiato - è scritto nella memoria - tutti i particolari e i singoli giustificativi anche per le fatture emesse" prima per tentare di mantenere il lavoro a condizioni vantaggiose e poi per cercare di mettere nei guai il dirigente Coop.

I difensori, che hanno chiesto al pm di fare istanza di archiviazione della posizione del loro assistito e di individuare "ulteriori profili di responsabilità", hanno cercato di mettere in luce, a loro avviso, l’illogicità dell’ipotesi accusatoria. "Non si comprende perchè Ferrè avrebbe dovuto, dopo anni e senza alcun interesse porre a carico dell’azienda una cosi’ rilevante cifra (la fattura di 350 mila euro, ndr), per ascoltare intercettazioni telefoniche che già nel 2007 non rivestivano alcuna utilità".

Anno in cui, per l’accusa, Ferrè avrebbe chiesto a Rancarani di ripulire il cd con le conversazioni registrate perchè non chiare.