Le lasciarono un ago nell’addome: due medici alla sbarra per lesioni

Pavia, l’intervento risale al 2011 e fu eseguito al San Paolo

L'assessore Massimo Adriatici

L'assessore Massimo Adriatici

Pavia, 22 aprile 2015 - Dolori insistenti dopo l’operazione. Poi, la scoperta, quasi per caso, di un oggetto dimenticato nel suo corpo durante un intervento. Una donna residente in provincia di Pavia è parte offesa in un processo in corso a Milano che vede alla sbarra due medici per lesioni colpose aggravate nei suoi confronti. I dottori sono accusati di aver lasciato un ago nel suo addome dopo un intervento chirurgico risalente al 2011 eseguito al policlinico San Paolo di Milano.

La signora è una parente di Cristina Omes, la donna uccisa insieme ai suoi bambini il 14 giugno 2014 dal marito Carlo Lissi a Motta Visconti, nel Milanese. Le due vicende sono ovviamente completamente slegate e si riferiscono ad ambiti e storie diversi.

La prima udienza del processo a carico dei due medici, un pavese e un milanese, si svolgerà a giugno in tribunale a Milano. Infatti, il dibattimento si sarebbe dovuto aprire l’anno scorso, ma per una mancata notifica a uno degli imputati l’apertura del procedimento è stata rimandata.

L’operazione cui si sottopose la donna risale a quattro anni fa. Subito dopo l’intervento, la donna aveva segnalato più volte di provare dolori nella zona dell’operazione, che con il tempo non diminuivano. Poi un giorno ha avuto un incidente stradale e, in pronto soccorso, è stata sottoposta a una lastra che ha evidenziato la presenza di un grosso ago nell’addome. Era posizionato in una zona particolare per cui un eventuale intervento di rimozione sarebbe risultato rischioso per la sua salute. Poi la donna è stata operata con successo a Genova e quindi liberata dall’oggetto estraneo. I dottori, «contattati, non hanno risposto alle sollecitazioni e alle richieste di risarcimento – spiega il legale che assiste la parte offesa, Massimo Adriatici –. È incomprensibile la posizione di chiusura assunta dai due medici di fronte a un fatto che è colposo. Hanno evitato di stabilire contatti con la persona danneggiata, quando invece avrebbero potuto argomentare la loro posizione in fase pre processuale».

I due medici vennero rinviati a giudizio, ora si attende l’avvio del procedimento.