L'ordine liberale

Senza un potere determinato a difenderlo non esisterebbe l’ordine liberale che nel bene e nel male dalla fine della Seconda guerra mondiale, prevale nel mondo di Claudio Martelli

Milano, 7 ottobre 2015 - Senza un potere determinato a difenderlo non esisterebbe l’ordine liberale che nel bene e nel male dalla fine della Seconda guerra mondiale, prevale nel mondo. Il perno di questo equilibrio sono gli Stati Uniti d’America, la loro capacità e la loro volontà di mantenerlo con le nazioni alleate anche ricorrendo alla forza. Niente e nessuno ci assicura che il ricorso alla forza sia giusto e nemmeno che ottenga i risultati desiderati. In verità non possiamo essere certi nemmeno che l’ordine liberale in se sia giusto. A lungo i suoi avversari esterni e interni l’hanno definito come imperialismo bollando quasi tutte le sue azioni come aggressioni. Per difendere quest’ordine gli Stati Uniti hanno affrontato guerre e le hanno perdute come in Corea e nel Vietnam tuttavia vincendo quella decisiva, la guerra fredda con l’URSS, dopo fasi alterne e un lungo, estenuante, reciproco assedio. Forse l’ordine liberale è solo il più conveniente ai nostri interessi e il più coerente con i nostri ideali, cioè con la cultura di un insieme di nazioni sviluppate e progredite nelle libertà economiche, individuali e politiche. Però sembra che niente di meglio finora sia apparso e di sicuro meglio non sono il dispotismo integrale della Cina o quello mascherato di Putin. 

Gli alleati degli Stati Uniti, l’Italia stessa o, a turno, la Francia e l’iper pacifista Germania, sono stati spesso critici e quasi sempre riluttanti a intervenire direttamente. «Figli di Venere gli europei pacifisti, figli di Marte gli interventisti americani», disse lo studioso americano Robert Kagan ai tempi di George Bush. Oggi, con Obama “guerriero riluttante” e la sua America tornata “un paese normale” che si scrolla dalle spalle la responsabilità e il fardello di garantire l’ordine anche con la forza, si avverte un’ansia opposta. Osservando come gli avversari approfittino dell’incertezza di Obama nei paesi alleati e nelle loro opinioni pubbliche si moltiplicano con gli allarmi, commenti derisori, sprezzanti. In effetti, la Cina si espande nel Pacifico in territori contesi al Giappone e all’Indonesia. La Russia di Putin dopo il colpo in Ossezia, annette la Crimea, colpisce l’Ucraina, s’installa militarmente in Siria bombardando molto più che l’Isis i ribelli anti Assad. Stringendo nuove e vecchie alleanze con Iran, Iraq, Hezbollah, Putin si candida a imporre il suo ordine in Medio Oriente. Certo, l’America ha sbagliato scatenando la seconda guerra in Iraq – e magari anche con la prima? – poi ha sbagliato un’altra volta non sapendo gestire la vittoria e una terza ritirandosi frettolosamente e aprendo con il vuoto di potere la strada all’Isis. Ma se l’idea di esportare la democrazia è un’idea erronea, anzi malsana, se è meglio accettare il mondo così com’è, e che ciascuno faccia quel che vuole in casa sua – e magari anche in casa del vicino –, se prevenire una minaccia è un azzardo e reprimere un’aggressione è una prepotenza, allora non ci si può sorprendere che l’ordine liberale si vada disfacendo. Ma si deve anche sapere che i primi a soffrirne le conseguenze saremo noi nel Mediterraneo e le nazioni appena uscite dal giogo russo nell’est europeo. L’America sarà sempre in grado di proteggere se stessa. La questione non è questa: la questione è se noi vogliamo difendere, oggi in Siria e in Iraq, i principi di umanità su cui si fonda la nostra civiltà per non dover difendere domani le nostre case. Questo e non altro è il significato politico dei nostri quattro Tornado e del loro eventuale impiego.

di Claudio Martelli